Intervista ai Prowlers

Un caro benvenuto a Laura Mombrini (L.M.), Alfio Costa (A.C.), Stefano Piazzi (S.P.), Roberto Aiolfi (R.A.) e Marco Freddi (M.F.): Prowlers.

L.M.: Ciao a tutti!

A.C.: Ciao Donato, un saluto a te e ai lettori.

S.P.: Ciao un saluto a tutti.

R.A.: Ciao Donato!

M.F.: Grazie per l’accoglienza.

Iniziamo la nostra chiacchierata con una domanda di rito: come nascono i Prowlers e cosa c’è prima dei Prowlers nelle vite di Laura e Alfio?

L.M.: Nella mia vita da adolescente, musicalmente parlando, c’era un bel guazzabuglio, ascoltavo tutto quello che trasmettevano alla radio ma anche i vinili di mio fratello e dei suoi amici, che si trovavano spesso a casa nostra ad ascoltare la musica tutti insieme, sembra un altro mondo!!! Passavo dalla discomusic dei Bee Gees ai cantautori italiani, dai Beatles a David Bowie e ai Queen, da Neil Young agli America e ai Supertramp; quelli che ho acquistato io e consumato maggiormente, però, sono i musical come Jesus Christ Superstar, Hair, Grease e The Rocky Horror Picture Show… Un po’ più grandicella ho iniziato ad ascoltare i Pink Floyd e i Led Zeppelin e, dopo aver conosciuto Alfio, gli Uriah Heep, che mi piacevano per l’atmosfera e i bellissimi cori. In generale forse ascoltavo più musica di quanto ho poi fatto in seguito. La musica non l’ho mai ricercata ma mi è spesso capitata ed è per me più che una passione, una compagna e uno strumento per conoscermi e mettermi alla prova.

La prima volta che ho cantato in pubblico è stata durante la festa di fine anno di terza superiore, forse non ero proprio da sola ma credo in duetto, comunque la situazione non mi ha “terrorizzato” abbastanza da rifiutare la proposta che è arrivata da Alfio durante quell’estate. Le canzoni proposte mi piacevano molto, io preferivo cantare in inglese, anche se sicuramente il mio accento non è dei migliori. Ad esempio facevamo la cover di “Stairway to heaven”, che ho sempre ritenuto una delle canzoni più belle in assoluto, che non ero in grado di cantare, ma non so come cantavo e poi c’erano “Wondeful tonight” di Eric Clapton, “The car hiss by my window” dei The Doors e “Rock and Roll” dei Led Zeppelin. L’amicizia è stata ed è la cosa più importante, confrontarmi con caratteri e visioni diverse mi piaceva e mi serviva per crescere, ero anche molto timida e restavo nel mio angolo un po’ sognante durante i lunghi pezzi strumentali. Alfio rifiutava, e forse rifiuta ancora, il ruolo di leader ma era ed è ancora un vulcano di idee, le canzoni nascono in lui in modo molto spontaneo e sa bene come vuole che “suonino”, più che saperlo lo “sente”, lo capisco al primo sguardo se è soddisfatto, se si sta divertendo, e in una parola è la mente e il motore dei Prowlers senza nulla togliere a ciascun componente che è parimenti prezioso.

A.C.: I Prowlers nascono nell’estate del 1985. All’epoca io suonavo in una cover band della cittadina nella quale frequentavo le scuole superiori. Nonostante la bella amicizia che mi legava ai ragazzi della band, mi resi presto conto che suonare cover e musica degli altri mi stava alquanto stretta come scelta di espressione musicale. Se ne rese conto anche il mio caro amico Fulvio Rizzoli, abile chitarrista solista della band, che mi propose di formare un progetto parallelo con una voce femminile, con la quale suonare non solo cover, ma anche musica originale e composta da noi. Mi disse di conoscere una ragazza con una voce particolare che avrebbe fatto al caso mio. Quella ragazza era Laura Mombrini e la incontrammo un caldo pomeriggio dell’estate del 1985.

Per me fu un vero colpo di fulmine! Laura era (ed è) bellissima e, allo stesso tempo, misteriosa ed aveva questa voce così eterea, particolare, che mi fece letteralmente perdere la testa, artisticamente parlando… s’intende… Con Laura conobbi anche i primi componenti dei Prowlers: Gianni Radici (chitarra), Fabio Dehò (basso) e Roby Biglioli (batteria). Questa fu la prima formazione della band e con loro iniziai la mia avventura di compositore ed autore, oltre che di tastierista. Brani dei Led Zeppelin, Doors e Clapton, intervallavano le prime composizioni originali del gruppo, che si esibì con quella formazione anche in una manciata di concerti.

Prowlers: come avviene la scelta del nome?

L.M.: Mi ricordo vagamente che all’inizio eravamo i Wodoo Child per la prima, o forse seconda, esibizione ad una festa di compleanno con un palco allestito nel giardino di un amico, poi, dopo mille proposte improbabili, credo Alfio abbia detto Prowlers e a tutti è piaciuto, penso che l’abbiamo scelto senza sapere bene cosa significasse. Oggi lo so e, in effetti, col nostro stile e le nostre intenzioni non è che ci azzecchi molto, ma ci sono affezionata.

A.C.: …mio dio, è passato davvero tanto tempo… Fui io a sceglierlo e per farlo infilai la mano nella mia piccola collezione di vinili, con la promessa di utilizzare il titolo di uno dei brani del disco che avrei scelto alla cieca. Così feci… Chiusi gli occhi infilai la mano tra i miei vinili e presi un disco. Aprii gli occhi e avevo in mano “Iron Maiden”, l’album del debutto della storica band inglese di heavy metal. Sul retro del vinile c’erano i titoli e quello che mi colpì fu “Prowler”. Così lo misi al plurale ed il gioco fu fatto. Non mi posi il problema del significato della parola “Prowlers” e nemmeno se fosse adatta per rappresentare la nostra musica, semplicemente mi piaceva.

Nel 1989 realizzate la vostra prima demo. Cosa c’è in quelle prime note? E quanto di quelle composizioni verrà ripreso in “Morgana” (e/o negli album successivi)?

L.M.: C’è tanto entusiasmo, tanta energia e qualcosa da dire, anche se non avevamo ancora trovato il nostro personale modo di farlo.

A.C.: Dal 1985 al 1989 suonammo tantissimo tra locali e occasioni varie. Nel frattempo componevamo brani nuovi, alcuni semplici canzoni, altri lunghi, psichedelici e interminabili. Col nuovo batterista Giovanni Vezzoli avevamo trovato un fattore di “energia pura” che prima ci mancava. Era un batterista potente e libero da schemi o modelli. L’entusiasmo era alle stelle. Così iniziammo a registrare tutti i concerti e ci rendemmo conto che potevamo fare un primo passo verso una vera demotape (allora si chiamava così) di brani originali. Così acquistammo un registratore Tascam a quattro piste e ci mettemmo al lavoro nella nostra sala prove, senza avere la minima idea di come registrare in modo decente uno strumento o una voce. Fatto sta che lo realizzammo e ne fummo entusiasti. “Prowlers 1989” racchiudeva in cassetta il meglio di quello che avevamo composto in quegli anni. Ho ancora quella cassetta e di questi brani nulla verrà ripreso in “Morgana”, rimarrà una parentesi dei primi anni di vita della band.

E dopo alcuni avvicendamenti interni arriva Stefano Piazzi. Stefano, come nasce la tua collaborazione con la band? E cosa c’è nella tua vita artistica prima dei Prowlers?

S.F.: Nasce quasi per caso, se non ricordo male. Purtroppo sono passati molti anni… A quei tempi avevo appena iniziato lo studio della chitarra e suonavo i primi concerti con una cover band. Io e Alfio ci siamo conosciuti meglio per ragioni di lavoro, ed a quel punto è stato facile parlare di musica. Così ci trovammo io a cercare nuove esperienze e lui ad avere bisogno di un chitarrista.

Il 1994 è l’anno di “Morgana”, una nuova demo che vede la luce su CD con la Mellow Records. Mi raccontate la sua genesi?

L.M.: Ricordo che facevamo prove su prove, ci trovavamo almeno due volte la settimana e forse, per registrare, anche qualche sabato; l’inizio era sempre “la ricerca del suono”, poi si imparavano i vari pezzi, gli stacchi, gli assolo, finché, anche per me, il canto più che imparato direi veniva assimilato.
Vedere pubblicato il CD fu proprio una bella soddisfazione.

 

A.C.: Con l’ingresso nella band di Marco Premoli al basso e soprattutto di Stefano Piazzi alla chitarra, chiudemmo di fatto la parentesi iniziale, fatta soprattutto di esibizioni live, e ci buttammo a capofitto nelle composizioni, cercando di farlo nella maniera più personale ed originale possibile. Avevamo in mente la realizzazione di una seconda demotape con dei brani più “studiati” e definiti. Iniziammo a provare e comporre il nuovo materiale nel 1991 con l’ingresso di Stefano nei Prowlers e più passava il tempo, più i brani prendevano forma e personalità. Ne scrivemmo a dozzine e poi selezionammo i migliori.

Registrammo i brani nella nostra sala prove con un Tascam a otto tracce che avevamo ottenuto in prestito, con l’aiuto di un amico. Peccato che il registratore a metà bobina si bloccava e non c’era verso di farlo funzionare per tutta la durata del nastro. Utilizzammo così un sacco di Ampeg (bobine a nastro) perché le potevamo utilizzare solo a metà… incredibile ma vero… Alla fine, comunque, ci riuscimmo. Ping-pong degli strumenti registrati sulle otto tracce, mix fatto in casa col mio mixer delle tastiere et voilà: “Morgana” era pronto!

Stampammo 300 copie della demo con tanto di copertina professionale, dipinta da mia madre, e nel 1993 avevamo nei nostri concerti il nostro bel banchetto con le cassette in vendita. La cosa stupefacente fu che le vendemmo tutte in poco tempo e che una di quelle cassette, per caso (e per fortuna), finì nelle mani di Mauro Moroni, allora patron della Mellow Records. Mauro fu stregato dalla voce di Laura e da quelle composizioni così strane e lontane dai modelli Progressivi classici (Genesis, King Crimson, ecc.), così mi chiamò (sulla cassetta c’era il mio numero di telefono) e mi propose di incontrarlo a Sanremo per un contratto discografico. Nonostante la nostra richiesta di registrare in maniera più adeguata l’album, Mauro lo pubblicò così com’era, prese la demo, la fece un po’ ripulire e la pubblicò. “Morgana” era diventata il nostro primo album…

S.P.: Per me fu un’esperienza unica. Sentire le mie parti registrate mi diede l’impressione di entrare a far parte di quel mondo magico che è la musica.

Quando avviene la “virata” dalle influenze inziali (blues rock, hard rock e primi Pink Floyd) al Neoprog di “Morgana”? E com’è stato accolto l’album da pubblico e critica?

L.M.: Mi sono resa conto che la nostra musica potesse essere definita Prog quando partecipammo al festival di Vigevano e scoprii con gioia che c’era anche un pubblico attento che ricercava e apprezzava proprio questo genere, di cui i nostri pezzi avevano sicuramente una vena.

A.C.: In realtà credo che “Morgana” risenta ancora, in qualche occasione, delle influenze blues del primo periodo. È un album sincero. Le composizioni sono il risultato delle influenze musicali di tutti e cinque, forse per questo sono difficilmente collocabili. Io ero influenzato dalla musica classica e dall’hard rock allora, mentre Stefano era più blues. L’insieme delle due cose ha dato forma ai brani di “Morgana”, che con l’aiuto di Marco e Giovanni nelle ritmiche e soprattutto della particolare voce di Laura con i cantati in inglese, sono diventati un piccolo marchio di fabbrica del gruppo all’epoca.

Nonostante la pessima qualità sonora del disco, “Morgana” fu accolto molto bene da pubblico e critica. Iniziammo ad entrare nel circolo degli eventi legati al Prog e a conoscere nuove persone e realtà. Diventammo buoni amici di molti gruppi dell’ambiente, in particolare dei Lethe e del loro compianto cantante flautista Stefano Fornaroli. Ci rendemmo conto che esisteva un “mondo sotterraneo” legato a questo genere musicale, che era in piena rinascita a quell’epoca e involontariamente ne facevamo parte.

“Morgana” col tempo divenne “sold out” e non venne mai più ristampato.

S.P.: Per me fu un’autentica rivelazione. Da chitarrista ho sempre ascoltato e suonato musica blues perché avevo l’impressione che la chitarra fosse lo “strumento blues” per eccellenza. Ovviamente conoscevo gruppi come i Pink Floyd e altro ma poco sapevo del mondo del Rock Progressivo. Lavorare con Alfio e i ragazzi mi ha portato a espandere le mie conoscenze verso generi poco ascoltati fino a quel momento.

E l’anno successivo siete pronti per il bis, il doppio album “Mother and Fairy”. Ascoltandolo sì notano delle differenze nelle soluzioni e nei suoni rispetto al vostro esordio, di certo tutto è più articolato. Ma cosa vi ha fatto “cambiare” in così breve tempo? E come mai addirittura un doppio album?

L.M.: Avevamo tanti pezzi pronti, tante cose da dire, andavamo a mille, di energia ce n’era parecchia e nella musica di “Mother and Fairy” si sente.

A.C.: Anche in questo caso l’artefice di tutto fu Mauro Moroni. Era entusiasta della nostra musica e noi, nel frattempo, continuavamo a suonare e a registrare. Ci sentivamo parte di un piccolo “movimento musicale” e volevamo esprimerci al meglio in quel contesto.

Così iniziammo a comporre con una consapevolezza diversa, un nuovo entusiasmo e provammo anche la soluzione del cantato in italiano. Del resto siamo italiani e, per esprimerci al meglio, la nostra lingua era la soluzione migliore. Nel frattempo continuavamo a suonare dal vivo la nostra musica, inserendo anche le nuove composizioni. Alla fine avevamo davvero tantissimo materiale registrato durante i live.

Arrivò così il momento di fare una selezione dei brani da inserire nel successore di “Morgana” e decidemmo di registrare due demotapes. Questa volta, però, con il ricavato dei concerti, ci comprammo un registratore tutto nostro, nuovo e funzionante! Iniziammo a registrare, ma ci rendemmo conto che Stefano era in un periodo particolare della sua vita e sembrava aver perso l’entusiasmo… A metà delle registrazioni, infatti, abbandonò il gruppo lasciandoci senza chitarrista.

Mi sembrava un incubo. Non sapevo cosa fare e anche gli altri sembravano un po’ disorientati. Certo era che non volevamo mollare proprio in quel momento. Avevamo ancora concerti programmati e un disco da finire. Così fu proprio Stefano ad indicarci il suo sostituto. Mio fratello Flavio, suo allievo. All’epoca Flavio era un giovanissimo chitarrista. Aveva 17 anni e nessuna esperienza. Lo catapultammo sul palco incrociando le dita. Lui imparò in pochi giorni tutto il repertorio ed iniziò pure a comporre. Era strabiliante! Per alcuni versi fu tutto molto naturale. Flavio divenne il chitarrista dei Prowlers e finimmo le registrazioni delle due demo in poco tempo.

Presentammo tutto il materiale a Moroni, pensando di fare con lui una selezione del materiale. Invece Mauro ci chiese di pubblicare tutto così com’era. Tutti i brani selezionati in un doppio album in studio: un vero suicidio commerciale! Ma così successe.

Giovanni ed io andammo a Sanremo e mixammo il disco con Ciro Perrino, nei suoi studi. Nel 1995 venne pubblicato “Mother and Fairy”, doppio album in studio, con una bella copertina ancora dipinta da mia madre e con una formazione con due chitarristi presenti nei credits: Stefano Piazzi (Mother) e Flavio Costa (Fairy). Se il primo disco presentava ancora tracce di blues, il secondo ricalcava il nostro nuovo modo di comporre, con testi ispirati al fantasy e all’ecologia e musiche molto più vicine al Neo Progressive, con trame chitarristiche più aggressive. La mano di Flavio fu subito evidente anche nelle composizioni, eravamo di fatto entrati nel Prog e ci sentivamo Prog anche dal punto di vista compositivo.

S.P.: Sì, effettivamente andò così. Più che scarso entusiasmo, mi tuffai completamente nello studio del mio strumento. A posteriori fu un errore non suonare per molti anni in una band.

In molti, tra le tante, hanno apprezzato soprattutto la voce. Laura, come ci si sente ad essere definita la “Annie Haslam italiana”?

L.M.: Super lusingata, forse ci sta che qualcuno abbia detto qualcosa tipo “Non ti ricorda un po’ Annie Haslam?”, ma sarà stato più per l’atmosfera delle canzoni dei Prowlers, e anche perché non credo che di interpreti donne nel Progressive Italiano ce ne siano state tantissime. Il timbro è molto diverso e sono lontana anni luce dalle sue qualità vocali. L’estensione, l’elasticità e la libertà di usare la voce, la capacità espressiva, erano e sono per me limiti con cui mi confronto ogni volta. Quando riascolto i pezzi ritrovo le difficoltà ma anche l’atmosfera magica che sentivo, sono grata per aver fatto cose magari non perfette
ma in cui mi riconosco.

E dopo l’uscita di “Mother and Fairy” ci sono nuovi movimenti interni. Come mai questa continua instabilità nella formazione? E Stefano, perché la tua esperienza con la band finisce così presto?

L.M.: Le nostre canzoni me le immagino come delle creature che arrivano un po’ da sole ma che hanno bisogno di tempo per compiersi, o anche le penso come un dipinto che per essere completato necessita di mille diverse pennellate, l’idea nasce di getto poi, però, va definita, assimilata, cambiata, arricchita o a volte semplificata; questo processo che dà vita alle canzoni è la cosa che mi piace di più.
La mia visione dall’interno del gruppo, ma anche con un certo distacco, perché il canto fa da traccia ma è anche l’ultimo tassello del lavoro, è quella di persone appassionate che hanno affinato il gusto per i suoni e per i particolari e hanno imparato ad arrangiare i pezzi. Quello che prima era solo istinto è in seguito diventato anche ricerca e capacità di esprimersi e, per riuscirci, c’è voluta tanta passione e dedizione.
In tutto questo ci sta benissimo che a volte arrivi la stanchezza o venga meno la costanza.
Di discussioni vere e proprie non ne ricordo nemmeno una, essendo di base molto amici e rispettosi gli uni degli altri, direi che l’instabilità della formazione è stata solo la conseguenza dei ritmi e dei cambiamenti delle nostre vite private. La forza è che comunque la vena Prowlers non si è mai persa.

A.C.: Il Progressive Rock è un tipo di musica che impegna. Impegna nelle composizioni, nelle esibizioni live e nell’ascolto. Credo sia per questo che ad un certo punto, dopo Stefano, anche Marco Premoli decise di lasciare. Suonare, comporre, registrare… finché ti diverti va tutto bene, quando però inizi a sentire la stanchezza o sei condizionato dalla tua vita privata, può capitare di scegliere di abbandonare la nave. Non c’è nulla di male, è la vita. In quanto amici, non abbiamo mai discusso la scelta di un membro della band, nel momento in cui decideva di mollare. Abbiamo sempre vissuto l’esperienza musicale dei Prowlers nel rispetto delle priorità personali di ognuno di noi.

S.P.: Per inesperienza… Si poteva tranquillamente mantenere le due cose. Poi sai come sono questi jazzisti (il mio studio era improntato sulla musica jazz… errore madornale per uno strumento versatile e ricco di dinamiche e suoni come la chitarra…), se non ci sono tredicesime, sospensioni, atmosfere sospese e soprattutto tecnica e velocità non si è musicisti… ma tant’è….

Ma sempre a “testa bassa” continuate a creare musica e, prima di pubblicare il nuovo album “Sweet Metamorfosi” nel 1997, partecipate anche ad alcune delle iniziative celebrative targate Mellow Records: “Harbour of Joy (A tribute to Camel)” nel 1996, con il brano “First Light”, e “Zarathustra’s Revenge, the Italian seventies progressive tribute” nel 1997, con “L’ultima ora e Ode a Jimi Hendrix” dei The Trip. In realtà ci sarà anche la vostra presenza in “Fanfare for the Pirates (A tribute to Emerson Lake & Palmer)” nel 1998, con il brano “The sage”. Che ricordo avete delle tre esperienze?

L.M.: Poter interpretare pezzi così belli è stato un piacere e un onore e personalmente mi ha fatto sentire parte di qualcosa di più vasto.

A.C.: Nel ‘96, dopo l’uscita dalla band di Marco Premoli, avevamo in realtà ancora molto da esprimere. C’erano una serie di concerti e l’idea di un nuovo album e, in più, ci furono questi lavori discografici della Mellow Records che ci diedero un ulteriore input per continuare. Un giorno Flavio si presentò alle prove con un suo amico bassista, Alan Ghirardelli. Decidemmo di provare subito qualche brano con lui e restammo tutti molto impressionati dalle sue doti di bassista, ma anche di cantante. Inoltre, l’approccio di Alan al basso era “inusuale” e in un certo senso “sperimentale”. Aveva una pedaliera con molti effetti e prediligeva spesso l’utilizzo del wah e del delay. Insomma avevamo, di fatto, una fonte di sonorità nuova per la nostra musica. Realizzammo con Alan il tributo ai Camel e successivamente quello ai The Trip di “Caronte”, mentre eravamo in studio per registrare “Sweet Metamorfosi”.

Il ricordo che ho dei tre lavori è particolare e legato soprattutto al periodo di vita personale che stavo vivendo in quel momento. In ogni caso, furono tre ottimi lavori discografici realizzati dalla nostra etichetta, in particolare “Zarathustra’s Revenge” era un lavoro monumentale, splendido già dalla produzione, dal book e dall’artwork. Era un doveroso tributo discografico dedicato ai gruppi Prog degli anni Settanta, realizzato dai gruppi della nuova ondata del Prog Italiano degli anni Novanta. Moroni fu geniale a pensarlo, secondo me. Ricordo di aver regalato una copia di “Zarathustra’s Revenge” a Joe Vescovi e mi fece molti complimenti per l’arrangiamento del suo brano. Anche Pino Sinnone, che ho avuto il grande piacere di conoscere, è stato molto felice della nostra rivisitazione di “Ultima Ora/Ode a Jimi Hendrix”.

E il 1997 è l’anno di “Sweet Metamorfosi”, l’album che, a mio modesto parere, vi “consacra” in ambito Prog. Mi parlate un po’ dell’opera?

L.M.: L’idea di base era di creare un simbolo per ognuno di noi e delle canzoni che ci rappresentassero.
Registrare in un vero studio fu un ulteriore crescita e una bellissima esperienza, l’opportunità per uscire dal nostro guscio.

A.C.: Le prime note di “Sweet Metamorfosi” le compose Stefano Piazzi. È incredibile ma fu così. Era il periodo delle registrazioni di “Mother and Fairy” e Stefano aveva iniziato a studiare armonia Jazz. Mi diede alcune dritte, non le chiamerei lezioni, in modo che potessi iniziare a pensare agli accordi in maniera differente. Così, per scherzo, scrisse una progressione di accordi che rimase per anni impressa su dei fogli chiusi in uno dei cassetti della sala prove.

Iniziammo a lavorare a “Sweet Metamorfosi” un paio di anni prima. Con l’ingresso di Flavio nella band iniziammo quasi subito a pensare ad un album costituito da brani tutti legati tra di loro. Ascoltavamo molto Prog Italiano in quel periodo, io soprattutto Goblin, Osanna, Trip, Balletto di Bronzo e Rovescio della Medaglia. Ero quasi ossessionato da quello che veniva definito “Pop Italiano”. Il fatto poi di lavorare al tributo discografico “Zarathustra’s Revenge”, mi fece ulteriormente approfondire le conoscenze del genere. Scrissi una storia surreale sulla band, metaforica ma molto attinente con quella che era stata la nostra avventura fino ad allora. Per la prima volta lavorammo tutti insieme all’album e alla fine ognuno di noi aveva messo qualcosa di sé nell’opera.

Le registrazioni di “Sweet Metamorfosi” si svolsero nei Sonica Studios di Marco Olivotto a Rovereto. Finalmente eravamo in un vero studio professionale e potevamo dedicarci unicamente alle composizioni e a suonare. Fu bellissimo quel periodo per la band, credo fossimo all’apice della nostra creatività, per lo meno per quanto riguarda il primo periodo dei Prowlers. L’album venne pubblicato e venne accolto con molto entusiasmo da critica e pubblico. Iniziammo anche a suonarlo dal vivo e tutto sembrava filare per il verso giusto…

Come mai la scelta di suddividere le liriche in inglese e italiano?

L.M.: I testi nascevano in italiano e venivano poi da noi tradotti in inglese, ma col tempo ci siamo anche resi conto che lo facevamo in maniera non del tutto corretta e che, comunque, questo passaggio della traduzione ci limitava.

A.C.: Semplicemente perché agli inizi le liriche dei Prowlers erano in inglese. “Morgana” e parzialmente “Mother and Fairy” erano cantati in inglese. Raccontando la storia e l’evoluzione della band, mi sembrò carino ripercorrere questa caratteristica. Così la prima parte dell’album è in inglese e la seconda in italiano…

A vostro modo di vedere, quali sono i punti di contatto e le differenze sostanziali tra i tre album?

L.M.: Il punto in comune tra i tre album è senz’altro l’esserci sempre sentiti liberi di fare quello che ci piaceva, senza stare per forza in binari predefiniti, e parlo di durata dei pezzi, suoni e argomenti.

A.C.: Li ritengo tre album completamente diversi uno dall’altro. È un’evoluzione continua di ciò che stavamo componendo, fino ad arrivare ad un buon livello di maturità artistica con “Sweet Metamorfosi”, che è il più “studiato” dei tre. Certo, avessimo avuto la possibilità di registrarli tutti in uno studio professionale, credo che le cose sarebbero andate diversamente…

Nelle tematiche dei tre lavori sembra ci sia sempre qualcosa di fantastico, di sognante, di leggendario. Ma cosa vi affascina di questi argomenti e come diventano brani dei Prowlers?

L.M.: Con Alfio ho condiviso la passione per il fantasy ed è un genere che ben si adatta ai suoni e al tipo di atmosfere create dalla nostra musica. I testi sono stati scritti praticamente al 99% da Alfio che ha, per la maggior parte delle volte, preso spunto da fatti o persone che l’hanno colpito, da situazioni ed emozioni realmente provate o a volte immaginate. Mi piace pensare che questo tratto di “sogno e magia”, tra l’altro parole che si ripetono spesso nei nostri testi, inducano chi ascolta a viaggiare con la fantasia.

A.C.: Nel primo periodo abbiamo sempre utilizzato il “surreale” per parlare metaforicamente di fatti o situazioni realmente accaduti. Mi è sempre piaciuta questa soluzione nei testi, per lo meno nei Prowlers è sempre stato così fino alla pausa del 1998. Sono un lettore di fantasy e di letteratura gotica, quindi molte volte ho attinto a piene mani da queste fonti per descrivere in metafora la realtà che mi circondava…

Nonostante una fase creativa così intensa, però, nel 1998 i Prowlers decidono di arrestare la propria corsa. Come mai una decisione così drastica?

L.M.: Io stavo posticipando continuamente la cosa, faticavo a prendere una decisione così drastica, ma Alfio mi aiutò a farlo, in effetti ero molto stanca, soprattutto per il fatto che i concerti sono sempre stati un fattore molto stressante per me, continuavo per inerzia e questo non andava bene né per me né per il gruppo.

A.C.: Ad un certo punto, tra un concerto e l’altro, Giovanni e Laura mi dissero di essere molto stanchi, lentamente stavano perdendo l’entusiasmo per quel tipo di musica. Giovanni voleva suonare “roba più semplice”, Laura aveva bisogno di staccare.

Nella band era entrato il giovane e virtuoso bassista Roberto “Bobo” Aiolfi e io ero certo di poter continuare questa metamorfosi musicale grazie anche al suo apporto. Alan lasciò quasi subito la band dopo le registrazioni di “Sweet”. Laura e Giovanni mantennero gli impegni presi per gli ultimi concerti e poi decisero di prendersi una pausa. Così rimanemmo Flavio, Bobo ed io e volevamo continuare a scrivere e suonare la nostra musica, ma senza Laura non aveva senso continuare come Prowlers…  e alla fine il gruppo si prese una lunga pausa.

A oltre tre decenni di distanza dalla nascita del progetto, come ricordate questa prima fase della band?

L.M.: La ricordo con tanta gratitudine, è stato un bel modo per vivere le amicizie, la voglia di esprimersi, l’indipendenza di fare un progetto e perseguirlo in gruppo, ci siamo credo stimolati e completati a vicenda.
L’esperienza Prowlers mi ha dato modo di conoscere tante bellissime persone ma soprattutto di confrontarmi con me stessa.

A.C.: Eravamo giovani, inesperti e pieni di entusiasmo! Volevamo esplodere con la nostra musica! Avevamo le carte in regola per farlo, secondo noi, e nessuno poteva fermarci. È stato un periodo bellissimo in cui il nostro rapporto di amicizia si è ulteriormente rafforzato. Con Giovanni e Laura mi sono sempre tenuto in contatto anche quando la band si è fermata. Sono due persone meravigliose e con loro sono cresciuto molto…

Alfio e Roberto, nel 1999 create i Tilion (con Paolo Cassago, Flavio Costa e Andrea Ricci). Mi parlate un po’ del progetto e dei primi due album “Insolitariamente” (2003) e “A.M.I.G.D.A.L.A.” (2008)?

A.C.: In realtà i Tilion nascono con una formazione leggermente diversa. Alberto Gaspari, batterista della band di heavy metal Insidia e Matteo Filippini, chitarrista legato al circuito del Fan Club italiano dei Deep Purple, costituirono con noi il primo nucleo dei Tilion. Con questa formazione realizzammo due opere: “Suoni” e “live 1999” che documenta il nostro concerto come gruppo spalla dei Deep Purple. In realtà, anche se autoprodotti, abbiamo sempre considerato questi due primi lavori, i primi due album dei Tilion.

Le sonorità erano molto pesanti rispetto ai Prowlers e il mio ruolo era marginale nelle composizioni (almeno inizialmente), in quanto Flavio era un vero vulcano in quel periodo e scrisse molto materiale. Alberto, come batterista heavy, e Matteo del resto, come cantante e secondo chitarrista, conferirono alla musica dei Tilion, del primo periodo, un ulteriore sferzata verso l’hard rock.

La stabilità del gruppo l’abbiamo trovata con l’ingresso nella band di Paolo Cassago alla batteria e Andrea Ricci alla voce. Con loro abbiamo realizzato “Insolitariamente” nel 2003, registrandoli sempre nei Sonica Studios di Rovereto, pubblicato poi da Mellow Records. L’album è ricco di novità rispetto a quelli dei Prowlers, a partire dai suoni delle mie tastiere che, nel frattempo, si erano arricchite di Minimoog e Hammond con relativo Leslie. Paolo era un batterista molto potente e tecnico, diverso dalla spontaneità di Giovanni Vezzoli dei Prowlers. Anche Andrea aveva una voce particolare, molto personale e potenzialmente avrebbe potuto diventare un grande cantante, se non avesse abbandonato il gruppo e la musica, dopo le due suites realizzate per Colossue e Musea Records. “Insolitariamente” è anche l’album col quale inizia la mia lunga collaborazione ed amicizia col polistrumentista Vincenzo Zitello.

“A.M.I.G.D.A.L.A.” fu il riassunto della vita dei Tilion. Avevamo realizzato due bellissime e lunghissime suites per i progetti discografici dell’associazione culturale finlandese Colossus, dedicati ai film di Sergio Leone. Ma presto si delinearono le divergenze artistiche tra di noi. Flavio ed io volevamo continuare a comporre e produrre album, Paolo, Bobo, ma soprattutto Andrea avevano bisogno dei live. Alla fine avevamo passato molte ore in studio e fatto pochi concerti e, nonostante i risultati eccellenti, Andrea se ne andò.

Eravamo rimasti senza cantante, ma avevamo questo materiale da pubblicare completo di testi, che raccontavano dell’ultimo superstite sulla terra, dopo l’estinzione del genere umano. Scrissi la storia quando Andrea era ancora nella band e non avrei mai pensato di rimanere senza cantante. Ma fu così.

A quel punto mi organizzai, chiesi aiuto ad amici cantanti e contattai anche due “Star”: Lino Vairetti degli Osanna e Clive Jones dei Black Widow. Così la storia dell’album fu narrata da molte voci diverse con intensità ed entusiasmo, che mi fecero dimenticare presto la dipartita di Andrea… Bobo ed io registrammo per la prima volta il disco con il nostro home studio e potemmo prenderci tutto il tempo necessario.

Decidemmo di pubblicare il disco con Musea Records, per la quale già stavamo lavorando con le nostre partecipazioni ai lavori tributo alla letteratura e cinematografia dell’associazione culturale finlandese Colossus. L’artwork del disco era stupendo, curata da Davide Guidoni, batterista e presto mio compagno nei Daal. “A.M.I.G.D.A.L.A.” è secondo me un ottimo album, un ulteriore passo avanti per la mia crescita artistica.

R.A.: Partendo da quanto esposto da Alfio posso solo che aggiungere quanto vissuto da me: conobbi Alfio ed i Prowlers nel 1998, in quanto mi proposero di entrare a far parte di questo gruppo di Rock Progressivo, “e cosa sarà mai questo genere di musica?” mi domandai all’epoca. “Va bene, proviamo dunque anche questa avventura…” e mi studiai e provai per intero “Sweet metamorfosi”… Rimasi affascinato da quanto la musica potesse ampliarsi ancor di più di quanto avevo in testa! Purtroppo, successivamente i Prowlers entrarono in Prowerls-pausa e, insieme ad Alfio e Flavio, formammo questa nuova esperienza musicale chiamata “Tilion”! Anche in questo caso mi si è aperto un mondo, le composizioni e l’agglomerato derivato dalle diverse teste della band sia nella prima formazione che nella seconda, hanno dato vita a cose molto interessanti! Da ascoltare…

E, per Roberto, prima di Tilion e Prowlers, cosa c’è nella tua vita artistica?

R.A.: Prima dei Tilion ho avuto diverse esperienze in band locali e non, mi sono sempre approcciato alla musica con la curiosità di un bambino e con la voglia di non escludere mai un genere piuttosto che un altro, quindi sono passato dalla musica leggera italiana al metal al rock, al funk, al jazz, insomma, ho spaziato un po’ in vari band e realtà locali.

Dei Prowlers si torna a parlare nel 2011 con l’album “Sogni in una Goccia di Cristallo”. Ma prima una domanda a Laura: cos’hai fatto nel periodo tra “morte e rinascita” della band?

L.M.: Musicalmente parlando, proprio nulla, solo qualche cantatina con amici attorno a un fuoco, tanto per fare festa, o cantare per me stessa nei momenti di serena solitudine.

Prima del ritorno vero e proprio, le strade di Costa, Mombrini e Piazzi si “incrociano” sempre sulla via della Mellow Records, in occasione del tributo “The Letters – An Unconventional Italian Guide to King Crimson” che vi vede insieme nel brano “Lady of the Dancing Water”. È qui che riscocca la “scintilla Prowlers”?

L.M.: No, ma è stato bellissimo partecipare e amo particolarmente la dolcezza di questa canzone.

A.C.: In realtà no. Mauro Moroni mi chiese di partecipare al tributo ai King Crimson con i Prowlers, voleva che ci riformassimo, ma in quel momento non era possibile. Giovanni non stava suonando in quel periodo e si stava dedicando al suo primo e vero amore: i cavalli. Così chiesi a Laura e Stefano, che in nome della nostra amicizia, mi aiutarono in questa cosa e partecipammo come Costa/Mombrini/Piazzi.

S.P.: Vero. Però è stata la prima occasione di riavvicinarsi artisticamente. Io avevo terminato il mio ciclo di studi e stavo suonando sempre in una cover band non molto distante da Alfio e Laura. Fortunatamente abitiamo molto vicino e riallacciare i rapporti è stato molto facile.

E nel 2011, appunto, ecco il vostro ritorno con un nuovo lavoro: “Sogni in una Goccia di Cristallo”. Quanto dei “vecchi” Prowlers troviamo al suo interno? E quanto, invece, fa parte di una “nuova visione” del progetto?

L.M.: Eravamo nella sala prove e, dopo la registrazione di “Set the Controls for the heart of the sun”, parlando con Alfio che non vedevo da un po’ di tempo gli ho raccontato in particolare di un sogno molo vivido e pieno di dettagli che avevo fatto, e sentivo il desiderio di sviluppare qualcosa su questa idea ma di certo da sola non sarei stata in grado di fare niente. Riprendere coi Prowlers fu bellissimo e fu come tornare a casa, il fatto poi di non avere impegni e avere a disposizione tutto il tempo e i mezzi che volevamo per realizzare i pezzi mi dava la tranquillità necessaria per riprendere col gruppo. Sicuramente eravamo tutti cresciuti e più stabili, Alfio e Bobo, anche tecnicamente con le registrazioni, erano diventati bravissimi. Stefano e Alfio, poi, insieme sono come un treno, non so spiegare ma hanno una particolare sintonia e “metodo di lavoro”, non si perdono per strada, è come se seguissero sempre una traccia invisibile che aiuta tutti a portare a termine le cose.

A.C.: Il pretesto per tornare insieme ci fu dato qualche anno più tardi quando registrammo la nostra versione di “Set the Controls for the heart of the sun” dei Pink Floyd, per un progetto discografico di AMS Records.

Flavio aveva smesso di suonare e di fatto i Tilion non esistevano più.

Così ci ritrovammo in studio con Stefano al quale chiesi di tornare nella band. Laura mi parlò di avere fatto molti sogni strani durante quella lunga pausa dai Prowlers. Aveva un sacco di appunti presi sui sogni che aveva fatto. Così pensai di farne un disco e proposi a Giovanni, Bobo, Stefano e Laura di ritornare insieme.

Potevamo realizzare l’album nel nostro studio, comodamente e utilizzando tutto il tempo di cui avevamo bisogno. Dopo alcune perplessità, Stefano e Laura accettarono e i Prowlers tornarono insieme. Certo, i tempi erano completamente cambiati dal 1998, molta più difficoltà nel suonare live la propria musica, ma era anche tecnicamente più facile realizzare un disco a casa propria. Anche il nostro approccio con la musica era cambiato. Eravamo tutti più maturi e con i piedi per terra.

Musicalmente “Sogni in una Goccia di Cristallo” era, fino a quel momento, l’album più completo e ricco che avessimo mai pubblicato. Le composizioni erano varie e più mature. In alcuni brani chiamammo come ospite Flavio alla chitarra e lui fu felice di parteciparvi. La copertina fu ancora un’opera di mia madre e venne pubblicato dalla nostra label storica Mellow Records.

R.A.: Tredici anni non sono pochi, ma quanto di vero c’è dentro alle persone rimane immutato nel tempo! Quindi c’è stata un’evoluzione dei primi Prowlers, ma in fondo sempre i “vecchi”.

S.P.: In realtà io non partecipai alle composizioni. Trovai già tutto pronto e dovetti fare delle parti di chitarra molto interessanti e alcuni assolo.

Com’è stata accolta la vostra reunion dall’esterno?

L.M.: Sinceramente non saprei. So che qualcuno ci segue dal Giappone e mi piacerebbe moltissimo, un giorno, potere farci un viaggio.

A.C.: Credo sia stata accolta positivamente, ma non abbiamo avuto molti riscontri, in realtà. Purtroppo i tempi erano cambiati parecchio e tutto sembrava più complicato. La gente comprava meno dischi, il download (anche quello illegale) aveva dato una mazzata importante al mercato discografico. Stessa cosa per i concerti che erano sempre meno e che vedevano come principali artefici le cover band o le tribute band a discapito dei piccoli gruppi che proponevano musica originale.

R.A.: Penso anche io che sia stata accolta in modo positivo! Anche se i live erano al quanto rari (purtroppo)!

S.P.: D’accordo con Alfio. Comunque tornare a suonare live insieme è stato molto stimolante, anche con non poche difficoltà da parte mia dovuto ad un lavoro molto totalizzante in termini di tempo e disponibilità. Cosa che ha generato alcuni problemi al resto della band, con mio rammarico…

Come per i primi tre album, anche “Sogni in una Goccia di Cristallo” esce per la Mellow Records e ha un artwork particolare e “femminile”. Come entrate, agli inizi degli anni ’90, nell’orbita della storica etichetta italiana? Vi va di spendere qualche parola sulla parte grafica?

L.M.: Mi piace che il femminile si sia notato! Le copertine fatte da Mariella, la mamma di Alfio, sono per me parte integrante dello stile Prowlers e le amo tantissimo.

A.C.: Come ti dicevo, avevamo stampato questa cassetta dal titolo “Morgana”. Così durante i concerti, che allora erano davvero più numerosi di oggi, ci capitava di vendere qualche copia e il destino volle che un amico di un nostro amico fece ascoltare la cassetta a Stefano Fornaroli, il compianto cantante della Prog band milanese Lethe. Loro avevano da poco firmato un contratto per Mellow e a Stefano la nostra musica piacque in modo particolare.

Non so bene come andò, ma di fatto la cassetta giunse nelle mani di Mauro Moroni che mi chiamò un sabato mattina a casa. All’epoca era abitudine mettere il numero di telefono per i contatti all’interno del book dei demo. Così Mauro mi chiamò e con entusiasmo mi invitò ad andare a trovarlo a Sanremo per parlare di un possibile contratto con Mellow Records. Lo incontrammo pochi giorni dopo e ci disse quanto gli piaceva la nostra musica e la voce particolare di Laura. Noi eravamo abbastanza increduli e scettici all’inizio, ma lui era molto deciso. Andammo con lui nella sede della Mellow e conoscemmo il maestro Ciro Perrino. Si parlò di musica, di Prog e del movimento che in quel preciso momento era in fermento grazie alle tante nuove realtà italiane. Ricordo che Mauro inserì la cassetta di “Morgana” nel registratore e ad un certo punto disse a Ciro: “… senti qua… sono i primi Pink Floyd che incontrano i Renaissance…”. Fu così che iniziammo con Mellow la nostra avventura.

R.A.: Per i rapporti con le case discografiche, delego Alfio alle risposte in quanto ha sempre seguito più lui questi discorsi! Le parti grafiche sono, invece, quasi sempre nate da disegni della mamma di Alfio, hanno sempre quella dolcezza femminile che rappresentano un po’ la musica dei Prowlers.

S.P.: Qui, come per altre questioni, Alfio si è sempre occupato, per nostra fortuna, di questa importante fase della lavorazione.

Il 2013, invece, vede uscire il vostro primo album dal vivo “Prowlerslive”, registrato il 17 novembre 2012 presso il Cineteatro Astra di Calcio (BG). Come mai decidete di registrate e pubblicare quel concerto specifico? Che ricordi avete di quella serata? E come sono, in generale, i Prowlers sul palco?

L.M.: Tornare sul palco fu per me motivo di tanta tensione, stemperata fortunatamente da alcune sagge parole di Vincenzo Zitello. Anche la sua presenza e il suo modo tranquillo e generoso di offrirsi al pubblico mi diedero un po’ coraggio e, alla fine, anche quella sera è arrivata la gioia e la soddisfazione, e ora è un bel ricordo.
Non mi sento a mio agio nello stare frontale al pubblico e fisicamente non domino certo il palcoscenico, ma mi sento protetta e sostenuta dai Prowlers, dall’energia del gruppo e dalle emozioni che si creano tra di noi e cerco di trasmetterle con la voce.

A.C.: Fu il concerto della reunion, eseguito in casa davanti ad una platea colma di nostri amici, dopo tanti anni di silenzio. Il concerto fu aperto da Vincenzo Zitello e noi, come sempre avevamo fatto anche in passato, registrammo integralmente la serata.

Pochi giorni dopo, ascoltandolo, ci commosse risentirci insieme dopo tutto quel tempo. Dal vivo la band esprime il meglio di sé e ci piace molto anche stravolgere i nostri brani. La musica acquista energia e pathos, anche gli errori diventano “magici” e spunti per esprimerci.

Fu Giovanni Vezzoli ad insistere perché lo pubblicassimo così come era, senza correzioni. Secondo lui il concerto e la registrazione davano un giusto valore alle nostre performance live ed era la fotografia perfetta di ciò che eravamo.

Purtroppo Mellow non volle produrlo. Così ci arrangiammo e scegliemmo la strada dell’autoproduzione.

R.A.: Ho un ricordo molto bello di quella serata, il fatto di non fare live ti portava ad avere un bel carico emozionale sul palco in quelle rare volte. Sono contento che sia stato autoprodotto quel live perché ha immortalato un bel momento dei Prowlers.

S.P.: Ho un ricordo molto piacevole di quella serata “tra amici”, oserei dire sia sul palco che in sala.

Trascorre un altro anno e siete pronti con un nuovo lavoro di inediti: “Mondi nuovi”. Ma quali sono i “nuovi mondi” che avete perlustrato e/o scoperto con questo album? E, secondo il vostro punto di vista, siete riusciti completamente nel realizzare un album di melodie, canzoni e sensazioni, di amicizia e condivisione, di musica e di vita?

L.M.: Sentendoci liberi, come sempre, di sperimentare abbiamo deciso di fare canzoni più melodiche e contenute nella durata, di semplificare la struttura e mettere in risalto la voce. Il maestro Stefano Piazzi si è molto dedicato alla cura della voce nelle registrazioni, per la prima volta facevo vocalizzi ed esercizi di riscaldamento prima di cantare. Anche i pezzi erano studiati per stare un po’ più nelle mie corde.
Secondo il mio punto di vista, in ognuno dei nostri album siamo riusciti a mettere emozioni e sensazioni di vita amicizia e musica fatta insieme.

A.C.: “Mondi Nuovi” segna di fatto l’ingresso a piene mani, nelle composizioni dei Prowlers, da parte di Stefano Piazzi. Tutti quegli anni lontano dalla band hanno portato Stefano a studiare molto. Dall’armonia jazz alla direzione d’orchestra… Stefano aveva davvero investito il suo tempo nella conoscenza teorica della musica.

Così iniziammo a scrivere i brani cercando di limitare le parti strumentali e mettendo in primo piano le melodie e la voce di Laura. Esplorammo in questo modo la difficoltà di scrivere e comporre semplici canzoni. Il “mondo nuovo” era un modo nuovo di esprimere la nostra musica. A parte “Disordinaria”, nell’album non ci sono lunghi brani, anche se alla fine tutti i brani risentono della nostra storia e dell’appartenenza al movimento Progressivo Italiano.

Credo che “Mondi Nuovi” sia un ottimo album. Lo ascolto ancora molto volentieri e penso che i Prowlers in quel momento siano riusciti a condividere, ancora una volta una, la bellezza dell’amicizia e del “fare musica” insieme…

R.A.: Con “Mondi Nuovi” c’è stata una mutazione nelle composizioni (ed anche nell’artwork), ci siamo probabilmente addentrati in “mondi nuovi”, quantomeno musicalmente!

S.P.: Mi sono appassionato tantissimo alle melodie. Erano già sei o sette anni che facevo parte di una corale di voci miste e, studiando brani fondati totalmente sulle linee melodiche, mi venne naturale partire da un ritornello o da una frase per abbozzare dei brani, che poi avremmo completato tutti assieme.

E come mai le strade con la Mellow Records si dividono?

L.M.: In realtà non te lo so dire…

A.C.: Prima di iniziare ad avventurarci nell’autoproduzione, chiesi a Mauro Moroni se fosse interessato a produrre “Prowlerslive” e un eventuale nuovo album in studio. Purtroppo anche per l’etichetta sanremese i tempi erano decisamente cambiati e sembrava che Mauro volesse di fatto limitare le produzioni o, addirittura, chiudere i battenti. Fu per questo che scegliemmo l’autoproduzione per “Prowlerslive” e “Mondi Nuovi”, anche se, in realtà, entrambi gli album sono distribuiti dalla nostra nuova etichetta Ma.Ra.Cash Records.

R.A.: Come detto prima non ho grandi contatti con le etichette, hanno sempre curato più gli altri miei amici i contatti “burocratici”.

S.P.: Nella vita tutto cambia… Purtroppo o fortunatamente spesso le strade si separano per il meglio di tutti…

Quando una band ha qualcosa da dire lo fa sempre, senza remore. Ecco che, infatti, l’8 dicembre 2017 siete pronti per un nuovo lavoro in studio: “Navigli riflessi”. Vi va di presentare quest’ultimo lavoro?

A.C.: È il settimo album dei Prowlers e forse è quello più sentito e che ci ha più impegnati dal punto di vista delle composizioni ed arrangiamenti. “Navigli riflessi” è un concept composto da tre atti e da dodici brani, che narra di come la nostra terra abbia subito negli ultimi anni un evidente e continuo scempio da parte dell’uomo, all’insegna del guadagno e di un benessere propinato in nome del progresso. Questa narrazione scorre dagli occhi di un uomo realmente esistito nel nostro paesino di campagna, all’inizio del secolo scorso. Era uno di quei personaggi che ogni paese può contare di avere tra la propria popolazione. Un tipo strano, senza tetto e senza lavoro, con la passione per la vita, la natura e il vino. In pochi ricordano il suo vero nome, tutti lo conoscevano come Campanù e allietava le serate nelle cascine e nelle piazze col suo organetto a manovella: il cilinder! Lessi di questo personaggio in un libro che attraverso racconti di fantasia, narrava episodi della nostra terra e del nostro paese. Il libro si intitola “I Navigli raccontano”. Il personaggio mi colpì per la sua libertà di pensiero e per la sua filosofia di vita. Così, quando cercavo un soggetto per il nostro album, mi ricordai di lui e pensai che sarebbe stato curioso vedere la sua reazione oggi, svegliandosi dopo una delle sue famose sbronze nel 2017. È così iniziai a scrivere il soggetto dell’album…

L’album, quindi, nacque di fatto più di tre anni prima, quando, con Stefano Piazzi, iniziai a scriverne le musiche. Stefano ha una conoscenza completa della teoria musicale e oggi posso dire che senza di lui “Navigli Riflessi” non avrebbe mai visto la luce. Un giorno Stefano mi fece ascoltare alcune idee che aveva registrato. In mezzo a tutto quel materiale c’era questa nenia… una cantilena particolare che mi ricordava un po’ una ninna nanna… In poco tempo divenne il tema del disco e ci divertimmo ad armonizzarlo e inserirlo in più contesti lungo tutti i brani dell’opera. Abbiamo dunque iniziato a lavorare attorno al tema musicale scritto da Stefano e ci siamo resi conto che lentamente prendevano forma tutti i brani. Mentre componevamo pensavamo anche a come arrangiare i vari brani. Così nacque la voglia di andare un po’ oltre lo schema classico del rock. Utilizzare strumenti e forme musicali diverse, originali, ed inserirle nella nostra musica. Come poteva trovare posto una banda di Baghet (la tradizionale cornamusa bergamasca) o di cornamuse scozzesi in un contesto rock? Come potevano interpretare due cori polifonici, di cui uno di voci bianche, le melodie del disco? Il tempo passava e le idee nascevano numerose… e ci rendemmo ben presto conto che il nuovo album sarebbe stato molto diverso dal suo predecessore “Mondi Nuovi”. Eravamo reduci da un album non concettuale e molto diretto dove la melodia era regina incontrastata. Volevamo liberarci da ogni schema: scrivere e fare, come successe con “Sweet Metamorfosi” negli anni Novanta, “musica libera”. Questa fu la linea guida del nostro percorso dall’inizio alla fine… e oggi, ascoltando “Navigli Riflessi”, possiamo solo esserne molto soddisfatti.

Per il titolo pensai al libro. I Navigli sono questi canali che da noi venivano utilizzati per portare l’acqua dei grandi fiumi al servizio dei nostri campi e delle nostre colture. Loro sono e restano i testimoni della nostra terra. “Navigli Riflessi” perché riflettono il passato a noi che abbiamo abusato del nostro paesaggio e il futuro per Campanù che nel disco si trova scaraventato in un’epoca così violentemente diversa dalla sua! Un manifesto ecologista e la voglia di poter dire la nostra a sostegno del nostro ambiente deturpato.

L.M.: A livello di messaggio è quello che sento più mio, ho un legame forte con la natura e quando canto certe parole le sento a livello fisico, nella mente si formano immagini ed emozioni… non so se riesco a trasmetterle, ma le provo. A livello musicale condividere le canzoni con altre voci femminili è stato molto
interessante, l’energia e le dinamiche durante le prove sono cambiate, mi sono potuta confrontare e aprire ad altri punti di vista e questo è sempre positivo.

R.A.: È un album che oggi è, purtroppo, sempre più attuale visti gli argomenti trattati, un concept con la testa dei Prowlers dei primi anni e con la crescita musicale ed intellettuale di oggi.

S.P.: Sì, questo album mi coinvolse molto a livello di composizione. Potei realizzare degli accorgimenti a livello armonico che andai a ripescare nella mia esperienza jazz e blues. Inoltre trascrivere per coro una bellissima parte di Alfio mi diede un’enorme soddisfazione, soprattutto se cantata poi da un coro di semi professionisti molto quotato a livello nazionale.

M.F.: Il mio ingresso nel gruppo ha coinciso con la realizzazione di questo progetto, ciò ha comportato uno stimolante confronto con significative novità. Dovevo conoscere i componenti della band, definire il mio ruolo tra loro e partecipare creativamente allo sviluppo del progetto. Le mie radici padane, l’infanzia cresciuta tra le golene del Po, hanno trovato nuova vita attraverso il racconto dei Navigli e dei personaggi che li caratterizzavano. Questo lavoro così innovativo, libero da schemi precostituiti, ha rappresentato un potente volano per la nostra fantasia, così da poter coniugare i nostri differenti linguaggi musicali. Ho potuto apprezzare la rigorosità compositiva di Stefano, l’estro creativo di Alfio, l’espressività evocativa di Laura, la solidità poliedrica di Bobo, la ricchezza armonica di Cristina e Daniela. Nell’ambito di tale fucina, mi sono addentrato nei chiaroscuri melodici e ritmici dei brani e nella vivacità simbolica dei testi, costruendo il mio contributo ritmico.

Una delle novità di “Navigli riflessi” è l’arrivo in squadra di Marco Freddi. Marco, qual è il tuo personale “percorso sonoro” che ti conduce sino ai Prowlers?

M.F.: Amo la batteria in modo viscerale ed è una passione che si è evoluta con me. Ho avuto un esordio Proto-Prog molto istintivo e gratificante nell’epoca d’oro della produzione italiana, ho quindi vissuto un’evoluzione stilistica attraverso i “fondamentali” del rock, jazz e fusion, che si è assestata nel tempo con la musica funk. Dopo molti anni, è stato spontaneo e naturale rivalutare l’originaria vena creativa, accogliendo con entusiasmo l’opportunità offertami dai Prowlers. In questa band, diversamente dalle altre mie esperienze, ho trovato completa fiducia nel mio drumming e la massima libertà nell’esprimere il mio stile e le mie idee. Per la prima volta mi sono sentito un batterista capito.

C’è qualche aneddoto che vi va di raccontare su “Navigli riflessi”?

A.C.: In tre anni di lavoro di aneddoti ce ne sono tantissimi. Mi piace ricordare la professionalità e la serietà che i vari ospiti hanno dimostrato durante le registrazioni del disco. Musicisti incredibili, realtà della nostra cultura e della nostra provincia che hanno donato momenti splendidi alla nostra musica, a conferma che per fare buona musica non servono grandi nomi. Mi vengono in mente le registrazioni dei Baghet e delle Orobian Pipes e la mia incredulità nell’ascoltare la potenza di quei suoni antichi, orgogliosi e veri. Oppure il lavoro fatto dal maestro Flavio Ranica col coro Adiemus, eccezionali armonizzatori vocali che lasciano a bocca aperta per la loro bravura. E ancora le bravissime voci bianche della Schola Cantorum del Maestro Gigi Consolandi, registrate nelle sale dell’oratorio di Calcio, il paese in cui sono nato e cresciuto… e io, che per la prima volta nella mia vita, alla veneranda età di 51 anni, entravo in quelle stanze (meglio tardi che mai direbbe qualcuno!).

L’aneddoto principe di tutta la lavorazione del disco è racchiuso in una notte negli studi di Vincenzo Zitello. Stavamo riascoltando il missaggio del disco con Vince che ci dava consigli e suggerimenti. Ad un certo punto chiesi se potessimo vedere la fantomatica Lama Sonora usata da Vince nel brano “Riflessi”. Vincenzo non si fece pregare e tirò fuori questa enorme lama flessibile ed iniziò a suonarla con un archetto da violoncello. Era l’una di notte e avevo davanti a me un Artista incredibile che suonava questo strumento stranissimo emettendo suoni magici, eterei, quasi appartenenti ad un altro mondo… Iniziammo a parlare di musica, della vita… e pensai che, in fondo, la magia del “fare musica” stava tutta in quei momenti di condivisione e armonia. Ero felice…

L.M.: Di “Navigli riflessi” ricordo il concerto di presentazione a Calcio, una domenica pomeriggio di febbraio. Una situazione molto intima, circondati dagli amici più cari e da tutti quelli che ci avevano aiutato a realizzarlo. Iniziò anche a nevicare nel paese dei navigli dove i Prowlers hanno radici ben piantate.

R.A.: Di “Navigli” ripenso al live di presentazione (è evidente che a me piace molto il live…)!

S.P.: Ricordo con piacere le discussioni in studio con Alfio e le coriste per scegliere questa o quell’armonizzazione. Essendo una delle coriste mia moglie, prolungavamo gli argomenti anche a casa, magari prima di addormentarci eravamo ancora a bisticciare per una nota o un’altra… Devo ammettere che poi desistevo quando si profilava all’orizzonte un possibile divorzio!

M.F.: Come è stato naturale l’incontro e affettuosa l’accoglienza dei musicisti, così è stata difficile l’accettazione dei gattacci di Alfio, che onorarono da subito il mio ingresso nel gruppo, benedicendo quello sgargiante giubbino fluo di cui ero così orgoglioso, per quel tocco glamour che dava alla mia immagine di musicista. Da quel momento non fui mai tranquillo e dovetti sempre guardarmi le spalle, per fortuna avevamo il conforto del whisky torbato, debitamente rifornito nella cantina della band.

 

“Navigli riflessi” esce per Ma.Ra.Cash Records. Come nasce e come si è perfezionato il rapporto con l’etichetta?

A.C.: Conosco Massimo Orlandini dai tempi dei festival Prog del Camelot Club a Vigevano. Suonammo proprio nella prima edizione di quei festival nel 1996. Con Massimo c’è sempre stato un cordiale rapporto di reciproca stima. Iniziai a collaborare con lui per la distribuzione del disco dei Daal “Dodecahedron” e mi affidai sempre a Ma.Ra.Cash per la distribuzione di “Prowlerslive” e “Mondi Nuovi”. Nel 2015, poi, pubblicammo con loro l’esordio dei Fufluns “Spaventapasseri”.

Quando ascoltò il promo di “Navigli Riflessi” gli piacque subito. Era entusiasta quanto noi e per me è fondamentale poter collaborare con un’etichetta che crede in quello che faccio e che mi dà la giusta libertà di esprimermi al meglio. Così come era con Mellow Records negli anni Novanta, oggi è con Ma.Ra.Cash… e pur essendo molto diversi, ritengo di essere fortunato ad aver incontrato Mauro Moroni e Massimo Orlandini sul mio cammino musicale.

L.M.: Loro hanno creduto in noi e hanno voluto come noi pubblicare questa opera…

R.A.: Come detto prima, piena stima dei miei amici!

S.P.: Questo è un aspetto di cui, per mia fortuna, si è occupato totalmente Alfio…

M.F.: Il rapporto con le etichette è sempre stato gestito al meglio da Alfio…

In oltre trent’anni di attività, come sono cambiati i Prowlers? E quali sono le differenze sostanziali tra “Navigli riflessi” e i precedenti lavori?

A.C.: Nel 1985 avevo 19 anni e una valigia colma di sogni e di speranze. Non sapevo nemmeno cosa fosse il Rock Progressivo pur ascoltandone inconsciamente i grandi nomi. Facevamo musica e ci divertivamo da matti… punto! Ognuno di noi ascoltava musica diversa e ne portavamo le influenze nelle composizioni della band. Io sono nato con l’hard rock degli anni Settanta e con i Pink Floyd. Sognavo una band alla Uriah Heep… non avevo nemmeno le possibilità di comperarmi le tastiere che oggi mi circondano in studio e sul palco. Ricordo il mio primo stipendio investito in una Korg Dw8000… ero felicissimo! Oggi sono un orgoglioso possessore di strumenti “mitici”: Hammond, Moog, Mellotron, Fender Rhodes… tutti sognati per anni e acquistati con sacrifici e tanto sudore…  in fondo non sono poi così cambiato.

Ascolto “Morgana” oggi, l’album d’esordio del 1994, e mi commuovo per la nostra sincerità musicale e per la nostra voglia di fare. Oggi, a distanza di 27 anni, pur essendo maturati, avendo acquisito esperienza e “malizia”, siamo ancora così… sinceri e vogliosi di esprimerci attraverso la nostra musica. “Navigli riflessi” è l’apice della nostra produzione… un po’ come successe per “Sweet Metamorfosi”, abbiamo investito tanto in questo album. Questo è un album musicalmente libero… siamo noi! Davvero noi! Rispetto ai precedenti ha un valore aggiunto: l’assenza totale di riferimenti musicali. Prog Rock? Psichedelia? Rock italiano? Rock melodico? Io direi semplicemente Prowlers!

L.M.: Questa intervista è stata l’occasione per riascoltare un po’ tutta la nostra musica e ripercorrere con la memoria e con un “giudizio” più distaccato il nostro percorso. Abbiamo fatto veramente tanto e “Navigli riflessi” sembra essere il degno punto di arrivo. Certo, i Prowlers da allora sono cambiati, e per fortuna, ma credo che siamo sempre rimasti con uno stile personale e riconoscibile.

R.A.: Nella musica di allora e nella musica di oggi c’è sempre quella sincerità di fondo, quando una persona nasce ha già una sua identità, e questa è stata poi arricchita dal bagaglio culturale e musicale che ha portato alla creazione di “Navigli riflessi”, quindi c’è stata un’evoluzione sonora (portata anche da Freddi).

S.P.: Ai tempi di “Morgana” erano solo pochi anni che suonavo… Mi sentivo insicuro, quasi fuori posto. Frequentando le accademie musicali avevo sempre l’impressione di essere il peggiore… Ma durante le prove e le sedute di registrazione con i Prowlers, le mie prime idee erano sempre ben accette e questo mi diede quella fiducia necessaria per proseguire il mio percorso musicale. Iniziai così un’intensa amicizia con i ragazzi che dura tuttora.

M.F.: Posso solo affermare ciò che ho già detto in precedenza. Ho trovato finalmente una band di musica originale nella quale ho potuto liberamente esprimere il mio drumming… Non posso dire ciò che i Prowlers erano prima del mio arrivo nella band…

Prima di spostare l’attenzione su altri temi, un’ultima domanda per Alfio e Roberto riguardante i Tilion. Nonostante il progetto sia giunto al capolinea già da qualche anno, nel 2019 esce l’album “Suites ritrovate”. Da dove “sbucano” fuori questi brani?

A.C.: “Suites ritrovate” è un album postumo dei Tilion che racchiude le due lunghe opere che avevamo composto all’inizio degli anni 2000 per il tributo al cinema di Sergio Leone, ideato da Colossus e prodotto da Musea Records.

Mi sembrava corretto dare il giusto spazio alle nostre due suites, in un album tutto loro. Ci hanno impegnato per molti mesi in studio e ci hanno dato l’opportunità di esplorare le nostre capacità musicali. Non esagero se affermo che per me sono le “cose” migliori mai realizzate dai Tilion e sono felice di averle fatte rinascere dopo tanti anni…

Quando aprii il baule di nastri, master, partiture, fotografie e CD, mi arrivò tra le mani anche questo piccolo brano, “Nel volo”, registrato per una trasmissione di una tv locale. Non lo ascoltavo praticamente da quando lo avevamo registrato. Mi piacque subito e così decisi di inserirlo come bonus track del CD.

R.A.: Era giusto racchiudere questi piccoli tesoretti costati molta fatica (a livello compositivo ed esecutivo) in un unico prodotto per darne il giusto risalto.

Cambiando discorso, il mondo del web e dei social è ormai parte integrante, forse preponderante, delle nostre vite, in generale, e della musica, in particolare. Quali sono i pro e i contro di questa “civiltà 2.0” secondo il vostro punto di vista per chi fa musica?

L.M.: Non saprei, credo ci siano molti “pro” e molte “comodità” in termini di velocità, di accessibilità a strumenti tecnici che servono per fare musica e per fruirne.
Il contro, generalizzando un po’, potrebbe essere l’isolamento e la tendenza a fare tutto da soli.
La musica suonata e ascoltata insieme e il tempo condiviso ripagano anche a livello umano, la vicinanza, anche fisica, è importante, penso che ce ne stiamo rendendo conto proprio in questi tempi.

A.C.: La tecnologia legata al web e a internet ci ha dato la possibilità di condividere e creare musica con altri artisti, anche dall’altra parte del pianeta. Io stesso ho realizzato progetti discografici a distanza e un esempio ne sono i Daal. È fantastico perché fino a qualche decennio fa questa era pura fantascienza.

Purtroppo, però, ha anche sentenziato la fine dell’ascolto della musica. Ormai la musica non si ascolta più, viene fruita e utilizzata in modo molto veloce e facile, con una scelta impensabile fino a pochi anni fa, tramite le piattaforme digitali e le vie anche illegali presenti sul web. Risultato: In pochi ascoltano, in tanti sentono distrattamente.

Prendi il tuo cellulare ti metti le cuffie e scarichi l’album del tuo artista preferito, stop. Fine delle copertine colorate, del profumo della carta, del rumore della puntina tra i solchi o semplicemente anche del CD che entra nel suo lettore. È finita l’epoca di chi ascoltava musica nella propria camera sfogliando il booklet di un CD o leggendo i testi dei brani su un gatefold di un vinile. Oggi in pochi ascoltano come si deve la musica… e pensare che il pregio più grande della musica dovrebbe essere quello di permettere di ascoltare.

R.A.: Io non sono molto partecipe a questa “civiltà 2.0”, cerco ancora di coltivare la vecchia civiltà fatta di live (che, vista la situazione, chissà a quando il prossimo…), e di rapporti personali. C’è fortunatamente Alfio che sbriga la parte “commerciale” del web.

S.P.: Cosa positiva il fatto di poter in qualsiasi momento appuntare delle idee e condividerle con il gruppo all’istante, con un risparmio di tempo notevole.

M.F.: Come ogni mezzo di comunicazione, se ben dosata e correttamente gestita, la fruizione dei servizi offerti dal web può essere un’opportunità di conoscenza, aggregazione e confronto, può offrire una visuale pluralistica della musica e stimolare una produzione creativa e collettiva.

E quali sono le difficoltà oggettive che rendono faticosa, al giorno d’oggi, la promozione della propria musica tali da ritrovarsi, ad esempio, quasi “obbligati” a ricorrere all’autoproduzione o ad una campagna di raccolta fondi online? E, nel vostro caso specifico, quali ostacoli avete incontrato lungo il cammino?

L.M.: Credo che sia tutto relativo agli obiettivi che ci si propone di raggiungere e, nel mio caso, non ho mai vissuto nulla nel mondo musicale dei Prowlers come una fatica o un ostacolo.

A.C.: Dal mio primo album pubblicato con i Prowlers, “Morgana”, nel 1994, ho capito quanto fosse difficoltoso trovare una label che potesse produrre e promuovere la propria musica. A quei tempi era addirittura più facile, rispetto ad oggi, trovare nell’ambiente Prog persone serie e qualificate in grado, prima di ogni altra cosa, di credere in te e di impiegare passione, tempo e denaro per dare una giusta visibilità al tuo progetto. Con gli anni tutto si è ulteriormente complicato. Sono nati migliaia di gruppi nuovi e dall’altra parte le etichette del settore sono quasi tutte sparite. Certo con l’utilizzo di software sempre più perfetti è stato anche più facile ed accessibile a tutti poter registrare e mixare un disco in piena autonomia nel proprio home studio.

Ma l’aspetto più triste resta quello legato alla promozione. Spesso succede che i discografici ti producono un disco che praticamente hai già realizzato da solo, limitandosi a stamparlo. Stampato l’album dovrebbe immediatamente scattare una promozione massiccia fatta di live ed eventi. Purtroppo la realtà è assai diversa e per svariati motivi si fatica pesantemente a suonare la propria proposta musicale in un contesto degno di nota. Personalmente mi ritengo fortunato perché, nonostante le varie difficoltà, ho sempre trovato persone che hanno creduto in me. È anche vero che con i Daal abbiamo scelto di autoprodurci ed affidare solo la distribuzione alle etichette. Questa decisione ha i suoi lati positivi e negativi e necessita di una robusta presenza in prima persona dell’artista nella promozione su tutti i canali tecnologici a disposizione.

R.A.: Il problema penso che stia tutto nel fatto che ormai la musica si riesce a fare a costo “zero” e che, di fatto, non ci sia più un mercato “fisico” della musica. L’avvento della musica liquida ha rivoluzionato completamente il mercato e, di conseguenza, quello che sono gli introiti.

S.P.: Anche per questo aspetto mi trovo d’accordo con le posizioni espresse da Alfio nell’intervista ai Fufluns. Ma per quanto mi riguarda la parte più interessante e gratificante per me è lo stare assieme per comporre e registrare la nostra musica.

M.F.: Crediamo nelle nostre potenzialità artistiche e ci affidiamo a etichette che credono, come noi, in quello che scriviamo (Ma.Ra.Cash in questo caso). Se un giorno non dovessimo avere più appoggi, credo che continueremmo comunque utilizzando la scelta dell’autoproduzione, che possiamo attuare grazie all’esperienza acquisita con gli anni…

E qual è la vostra opinione sulla scena Progressiva Italiana attuale? C’è modo di confrontarsi, collaborare e crescere con altre giovani e interessanti realtà? E ci sono abbastanza spazi per proporre la propria musica dal vivo?

L.M.: Non saprei…

A.C.: Credo che la scena Prog Italiana sia ricca di autentici talenti, ma di altrettante proposte scadenti e banali. Personalmente ho avuto la fortuna di collaborare con molti artisti interessanti e queste collaborazioni, come già accennato in precedenza, mi hanno sicuramente fatto crescere. Purtroppo, però, ho anche notato nel tempo una sorta di infelice cocktail di presunzione ed invidia da parte di musicisti ed addetti dell’ambiente (per fortuna non molti) che, a mio avviso, non porta alcun vantaggio. Siamo un genere di nicchia, un piccolo granello di polvere in un universo di musica e dovremmo essere tutti più uniti e “complici”.

Altra nota dolente sono gli eventi live, col tempo praticamente diventati pochissimi e non sempre gestiti e organizzati adeguatamente. Il disinteresse generale per la cultura non aiuta sicuramente, ma credo che anche nel nostro piccolo ambiente ci si debba porre più di una domanda e fare le giuste riflessioni. Spesso capita di suonare gratuitamente in eventi poco pubblicizzati e con pochissima gente. È totalmente sbagliato! Il lavoro di un musicista va pagato e va valorizzato adeguatamente, altrimenti è meglio starsene tranquillamente a casa. Alla fine degli anni Ottanta suonavamo tutte le settimane. Negli anni Novanta una o due date al mese. Con l’avvento del nuovo millennio, parlo per me, le date sono diventate una manciata in un anno e non sempre in situazioni gradevoli. Infine oggi, per poter avere un adeguata location mi sono dovuto inventare anche il ruolo di organizzatore di eventi e ti assicuro che è molto frustrante per un musicista.

R.A.: Riguardo la musica dal vivo, mi sembra che il live stia scomparendo! Altre giovani realtà Progressive non ne conosco, però mi sembra che si stia alzando sempre di più l’età dell’ascoltatore con uno scarso ricambio generazionale, sia di chi suona che di chi ascolta (connubio fondamentale!).

S.P.: Devo riconoscere che per mia sfortuna, facendo un lavoro abbastanza totalizzante, lo spazio per suonare dal vivo si riduce al lumicino… Quelle rare volte che ci capita di suonare live lo accogliamo come un momento di puro divertimento e gratificazione per l’impegno che ci mettiamo sempre.

M.F.: Ci sono molti moltissimi artisti validi oggi… ma resto legato al Progressive degli anni Settanta… È quello il mio riferimento anche oggi.

Esulando per un attimo dal mondo Prowlers e “addentrandoci” nelle vostre vite, ci sono altre attività artistiche che svolgete nella vita quotidiana?

L.M.: Attualmente, purtroppo, no. Per questo dare il mio contributo ai Prowlers, partecipare alla creazione del nostro mondo musicale, è una cosa preziosa che spero di continuare.

A.C.: Io amo cucinare. La ritengo un Arte quasi al pari della musica. Ho frequentato una scuola di cucina e ho fatto, anche in questo caso, la mia scelta optando per piatti semplici e per la qualità degli ingredienti. Certo non mi vedrai mai a MasterChef…

R.A.: Lavoro come geometra e, nella mia professione, mi occupo anche di progettazione e, tal volta, mi capita fortunatamente di poter disegnare e progettare con la ricerca del gusto.

S.P.: Sì. Devo dire che gestire un’attività in proprio di questi tempi è diventata una forma d’arte che ha lo scopo di sopravvivere!

M.F.: Cosa s’intende per arte? Vivere uno stile di vita coerente, creativo e innovativo, con un orientamento etico e morale definito, è di per sé un’attività artistica che cerco di svolgere giornalmente! A parte questo, la batteria è talmente esclusiva e impegnativa che mi induce a concentrarmi esclusivamente e costantemente su di essa.

E parlando, invece, di gusti musicali, di background individuale (in fatto di ascolti), vi va di confessare il vostro “podio” di preferenze personali?

L.M.: Non saprei cosa dire, a me piace veramente di tutto, a livello di voci mi piacciono quelle che sento “vere” e che senza sforzo fanno vibrare e sognare. Mi piacciono molto i cori e le armonie.

A.C.: Oddio è davvero difficile per me. Sono nato ascoltando i brani alla radio nella casa dei miei genitori. Ero un bambino all’inizio degli anni Settanta e credo di aver assorbito in qualche modo le sonorità di quel periodo, sia che provenissero dal pop che dal rock. Da adolescente sono diventato un accanito ascoltatore di hard rock, soprattutto Kiss, Black Sabbath, Deep Purple, Uriah Heep e Led Zeppelin. Poi è nato l’amore con i Pink Floyd che dura ancora oggi. Solo qualche anno più tardi ho dato il giusto valore al Progressive Rock. Prima quello internazionale con i Rush, i King Crimson ed Emerson Lake and Palmer, poi quello italiano che già avevo conosciuto negli anni della mia infanzia, ma che solo da adolescente ho rivalutato. Soprattutto Osanna, Goblin, The Trip e Balletto di Bronzo… loro furono i miei veri eroi del Prog di casa nostra. Oggi non mi ritengo un vero ascoltatore di Progressive Rock, sono molto istintivo anche nell’ascolto della musica. Adoro la musica classica, le colonne sonore di Morricone, la musica di Vincenzo Zitello, quella di Giovanni Sollima e, in ambito rock, Opeth, Lunatic Soul e Porcupine Tree.

R.A.: Io sono probabilmente un nostalgico, metterei Beatles, Weather Report e De André sul podio.

S.P.: Dopo trent’anni di musica ed avendo ascoltato un po’ di tutto, se dovessi fare una scelta tornerei sempre all’inizio con i miei Rolling Stones ed il mio mitico Rod Stewart. Cose semplici, magari ripetitive… ma sono ancora qui i nostri vecchietti!!!

M.F.: Se si parla di preferenze, queste sono mutevoli così come la nostra vita quotidiana e i nostri umori.

La mia considerazione della musica è totale e vitalizzante, quando è autentica e sincera è tutta bella, perché attira l’attenzione, tocca le corde emotive, muove il corpo, senza distinzioni. Direi che riconosco in ogni genere musicale proposte e artisti che sanno offrirmi grandi soddisfazioni.

Come ho ascoltato di tutto, così suono di tutto con i miei tamburi.

Restando ancora un po’ con i fari puntati su di voi, c’è un libro, uno scrittore o un artista (in qualsiasi campo) che amate e di cui consigliereste di approfondirne la conoscenza a chi sta ora leggendo questa intervista?

L.M.: Tramite Alfio, nel 2018 a Piacenza, ho assistito al concerto degli Osanna con Lino Vairetti. Un bellissimo concerto, che bravura, che bei pezzi, ma soprattutto quanta energia creativa!!! Nella stessa sera ho sentito, per la prima volta, Annie Barbazza, che poi ho seguito in un paio di concerti, la sua voce libera e espressiva mi ha proprio colpito e di certo anche il suo percorso artistico è di grande qualità.
Aimin Etwal è un amico e fratello elfico, un giovane musicista guatemalteco che ho conosciuto e che mi è piaciuto subito sia come persona che come musicista, ha scelto questa strada e la sta perseguendo tra soddisfazioni e difficoltà. Ha di certo qualcosa da dire e fare musica per lui è il suo modo di essere e di esprimersi, sentire la sua chitarra e come usa liberamente la sua voce mi fa stare bene.

A.C.: Non ho un nome in particolare da consigliare. Ce ne sono davvero tanti di Artisti degni di essere approfonditi. Mi sento solo di dare un consiglio ai giovani. Leggete, informatevi, andate a teatro, al cinema, nei musei, alle mostre d’arte e ascoltate musica. Fatelo con passione e curiosità… riscoprite il senso della vita, riappropriatevi della vostra vita, dell’appartenenza ad una società che ha creato anche tanto splendore, condividete le vostre sensazioni, le vostre emozioni e lasciate da parte l’inutilità dell’“apparire” che ci viene continuamente imposta ogni giorno da tv, media, social web e dai loro falsi eroi.

R.A.: Purtroppo non leggo molto. In questo periodo sto leggendo un libro tra lo storico ed il leggendario sul lago Gerundo, appena arrivo alla fine vi dirò com’è!

S.P.: Io consiglierei un libro particolare che parla di amore per la vita dissoluta, il bere e lo stare nel mondo in un certo modo: “La versione di Barney” di Mordecai Richler.

M.F.: Personalmente mi fa riflettere la biografia di Bill Bruford, mentre mi fa sorridere quella di Phil Collins.

Tornando al giorno d’oggi, alla luce dell’emergenza che abbiamo vissuto (e che stiamo ancora vivendo), come immaginate il futuro della musica nel nostro paese?

L.M.: la musica avrà sempre più importanza se vogliamo restare più umani, ma deve essere musica “sincera”, fatta da persone vere che prima di “apparire” devono “essere”, conoscersi e accettarsi così come sono e farlo in un gruppo è ancora meglio.

A.C.: È molto difficile in questo momento immaginare un futuro della musica. Spero soprattutto che si possa risolvere questa emergenza sanitaria e si possa finalmente uscirne per non tornare come eravamo, ma migliori di ciò che eravamo. Spero che questo periodo ci possa insegnare tutti qualcosa, ci possa cambiare in meglio… Dentro me sento che non sarà così, ma ci spero.

R.A.: Purtroppo non la vedo molto rosea la situazione musicale, quantomeno della musica live.

S.P.: Beh, per il futuro della musica non so dare risposta. Personalmente mi ha stravolto al punto di essere ad un passo dal lasciare tutto quanto… I Prowlers, ad ora, rimangono il mio barlume di speranza.

M.F.: Evidentemente la musica, come tutte le arti, ha subito forti limitazioni da ogni punto di vista a seguito della pandemia, ogni forma espressiva è stata deprivata della funzione taumaturgica, che consente allo spirito umano di elevarsi rispetto alle limitazioni evidenti della natura umana. C’è da sperare che, una volta superata l’emergenza, ogni contributo artistico possa rappresentare l’espressione di una consapevolezza nuova, nata dalla resilienza e dalla speranza di chi ogni giorno, consapevolmente, non ha smesso di lottare per la vita e credere nella musica.

Prima di salutarci, c’è qualche aneddoto che vi va di condividere sui vostri anni di attività?

L.M.: Dal passato remoto: quella notte che stavamo rientrando da un concerto in qualche valle, io ero in macchina con Gianni (il chitarrista) e Giana (il batterista) era davanti. Quella sera, come sempre, Giana aveva dato tutto, mi ricordo ancora i suoi urli di incitamento e i colpi a raffica sulla batteria.
Eravamo fermi a un semaforo rosso a Bergamo, scatta il verde e Giana non riparte, scatta il rosso e scendo a controllare. S’era addormentato e quindi Giana sale dietro, incastonato tra tom, rullanti e piatti, e si riaddormenta, mentre io, quasi neopatentata, mi metto alla guida della sua Citroen Squalo e arriviamo a casa sani e salvi. Una piccola avventura che ricordo con piacere quando passo per quella strada.

Dal passato recente: l’ultimo concerto a Piacenza in versione acustica con pezzi di “Navigli riflessi”, nella cornice magica di Palazzo Farnese: un ottimo service, bellissimi suoni e colori e un pubblico caloroso.

E per riderci sopra: il rapporto di amore e odio col mio leggio, coperta di linus e palla al piede che non so se avrò mai il coraggio di mollare.

A.C.: In 36 anni di vita del gruppo, di aneddoti ce ne sono un’infinità.

Ne scelgo due.

Il primo riguarda il mio amico Giovanni Vezzoli, per tanti anni batterista dei Prowlers. Quando lo contattai nel 1986, andai a cercarlo nel suo piccolo paesino di campagna, a pochi km dal mio. Mi ricordo che aveva da poco terminato il servizio di leva e lo incontrai fuori da un bar a pochi metri da casa sua. Gli proposi questa avventura in un gruppo di musica originale, con una voce femminile, raccontandogli un po’ quello che volevamo esprimere con la musica, i nostri sogni, le nostre ambizioni… Dopo il mio lungo preambolo sulla band gli chiesi cosa ne pensasse e se gli andasse di far parte del gruppo. Mi rispose semplicemente così: “…lunedì porto la batteria, la monto in sala e proviamo a suonare qualcosa insieme. Se mi piace resto, altrimenti smonto la batteria e me ne torno a casa…”. Era il 1986, la batteria di “Giana” (così lo chiamiamo) restò montata in sala prove fino al 2015…

Il secondo riguarda la mia amica Laura, che da sempre ha il terrore di salire sul palco. Ogni volta che c’è un concerto in vista, Laura inizia una fase di training autogeno per esorcizzare la paura del live. In lei c’è sempre stata questa fobia dell’esibizione, che d’incanto si scioglie proprio quando è su palco, per trasformarsi definitivamente in gioia subito dopo il concerto. Ogni volta la stessa situazione e ogni volta mi dice “…avevo un po’ di timore prima del concerto, ma ora sono felicissima di averlo fatto…”.

R.A.: Quando sono entrato nei Prowlers non ero patentato, vivevo ad una quindicina di chilometri da Calcio e, quando si provava, venivo accompagnato a casa da Alfio, o da uno degli altri componenti del gruppo! Ricordo dei bei momenti passati in quei viaggi in macchina, ove si parlava e si ascoltava musica! Momenti per me ricchi di vita e di passione, grazie Prowlers (non solo per quei momenti ma per tutti questi anni)!

S.P.: Ho la fortuna di avere aneddoti giornalieri in campo musicale, essendo sposato con una cantante che è in grado di affrontare qualsiasi genere e che mi allieta quotidianamente.

M.F.: Stavo pensando di smettere… poi, un bel giorno, ho trovato l’annuncio di Alfio che cercava un batterista per i Prowlers…

E per chiudere: c’è qualche novità sul prossimo futuro dei Prowlers che vi è possibile anticipare?

L.M.: Ci sono dei brani che aspettano di essere definiti, come sempre ho delle perplessità sui canti, ci riuscirò? …with a little help from my friends cercherò di fare del mio meglio.

A.C.: L’emergenza legata alla pandemia ha di fatto bloccato i nostri incontri in sala prove. Fortunatamente, però, avevamo già iniziato a scrivere nuovi brani per un nuovo album. Sono solo scheletri di accordi e melodie, ma in questi giorni ci stiamo organizzando per tornare a lavorarci, anche facendolo a distanza, utilizzando la tecnologia disponibile. Purtroppo è così per ora, ma contiamo di ritrovarci tutti e cinque presto in studio per completare questa nuova opera. Abbiamo ancora tanta voglia di stare insieme e di suonare la nostra musica. I Prowlers restano un gruppo di amici prima di ogni altra cosa e proprio l’Amicizia è questo collante che continua a farci sognare e creare musica…

R.A.: Siamo stati placcati da questa situazione, ma appena ce lo consentiranno ci rimetteremo a condividere un po’ di musica!

S.P.: Rimango fiducioso di poter riuscire a portare a termine questo nuovo album segnato sicuramente dalla situazione non facile per ognuno di noi.

M.F.: Nella sfera di cristallo dei Prowlers vedo idee nuove da sviluppare, amicizie da consolidare e tanta musica da suonare tra la gente.

Grazie mille!    

L.M.: Grazie a te!!

A.C.: Grazie mille a te Donato e ai tuoi lettori.

R.A.: Grazie a te, a presto.

S.P.: Grazie anche a te. Un caro saluto.

M.F.: Grazie per l’opportunità.

(Aprile, 2021 – Intervista tratta dal volume “Dialoghi Prog – Volume 2. Il Rock Progressivo Italiano del nuovo millennio raccontato dai protagonisti“)

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