Follia

«Maestro, come va?».
«Male! Male! Male!» urlò Arcangelo Corelli colpendo rabbiosamente il calamaio che, dopo aver coperto con un arco la breve distanza che lo separava da terra, rovesciò il suo contenuto sulle maioliche policrome che decoravano con un motivo geometrico il pavimento.
Sul tavolo dinnanzi a sé, non distante dal violino, il pentagramma era ancora immacolato. Il compositore era ad un passo dall’ultimare la sua Opera n. 5, mancava solo la dodicesima sonata, e non una nota era fuoriuscita dalla sua mente negli ultimi tre giorni.
«Perché mi stai abbandonando proprio ora? Perché? Perché?» urlò picchiando più volte con il palmo della mano destra sulla tempia.
Il valletto era da alcuni minuti muto spettatore e la veemenza di quest’ultimo gesto lo intimorì. Osservò la porta semiaperta alle sue spalle e decise saggiamente di abbandonare il maestro al suo sfogo.
Corelli non si accorse minimamente della sua fuga.
«Basta! Meglio mollare tutto!» e dopo quest’ultima esclamazione rabbiosa il compositore lasciò la sala.
In un angolo, l’amico e fidato collaboratore Matteo Fornari, secondo spettatore silente in quell’occasione, scosse la testa osservandolo uscire a capo chino e passo rapido.

«Ma il maestro non cena questa sera?».
«Credo proprio di no» rispose Fornari, fissando dispiaciuto il posto vacante alla sua sinistra.
«Come mai? Sta male?».
«Il maestro sta vivendo un momento particolare e credo sia giusto lasciarlo alle sue riflessioni».
«Comprendo. Faccio comunque portare in tavola la cena?».
«Proceda pure».

Il giorno dopo Fornari attese invano il suo amico. Solo, nell’ampia sala che negli ultimi tempi era diventata il tempio in cui il compositore plasmava le sue eccezionali creazioni, si sentì per qualche attimo smarrito.
“Chissà dov’è ora Arcangelo” pensò.
Poi osservò sul tavolo la pila di fogli che custodiva il flusso infinito di note relative alle prime undici sonate dell’Opera n. 5, poco distante dal violino barocco. Ne scelse una, Sonata V in sol minore, imbracciò lo strumento e invase la stanza di musica.

Rientrò due giorni dopo. Ad accoglierlo il fido Matteo Fornari. Uno scambio di sguardi, un cenno con la testa. Nessuna parola di saluto.
Corelli si diresse alla sua postazione, prese il pennino in osso, il calamaio, riposizionato e ricolmato d’inchiostro dallo stesso Fornari, e un foglio. Poi si sedette e, poggiato il pennino intinto di nero sul pentagramma, si bloccò.
«Diamine!».
«Cosa c’è che non va, Arcangelo?» chiese pacato Fornari.
«Questa dodicesima sonata mi sta facendo impazzire! So che c’è nella mia mente ma non la trovo!».
«E allora continua a cercare».
«Ci sto provando!».
«È permesso?». Il dialogo tra i due fu interrotto dalla figura del consigliere di corte.
«Entri pure» rispose Fornari.
«Maestro, che piacere poter entrare nel suo mondo!» esclamò l’uomo dalla giacca merlettata color oro.
Corelli rispose con un’occhiataccia.
«La nostra signora Sofia Carlotta di Brunswick-Lüneburg attende con ansia la sua opera».
«E che attenda, perdio!».
L’uomo restò esterrefatto, sgranò gli occhi cercando un sostegno nello sguardo di Fornari che si limitava a scuotere la testa.
«Al diavolo tutti!» e urlando il compositore lasciò la stanza.

«Ma quello non è il maestro Corelli?». Il quesito fu posto da una dama al suo cavaliere, la coppia passeggiava leggiadra nel grande parco.
«Sì, è lui».
«Chissà cosa lo rende così insofferente. Ha un’espressione che mi inquieta».
A passo svelto, nervoso, Arcangelo Corelli s’incamminò lungo i viali alberati del parco antistante la sua dimora. Intanto borbottava parole incomprensibili.
Individuata una panchina, decise di fermarsi qualche minuto a riflettere. Appoggiò il dorso allo schienale in legno e chiuse gli occhi. Lì riaprì un tempo imprecisato dopo, disturbato dal suono creato da un rapido saltellio nella ghiaia del vialetto. Mise a fuoco la vista e scoprì la fonte del rumore: uno scoiattolo.
Incuriosito lo osservò. L’animaletto saltellava rapidamente per poi bloccarsi di colpo. Dopo una serie di simili evoluzioni si avvicinò furtivo all’uomo, recuperò una ghianda posta non distante dai suoi piedi e poi scattò nuovamente per allontanarsi. Corelli lo scrutò mentre, trovata una collocazione sicura, gustava il cibo appena raccolto. Anche la sua bocca si muoveva lesta. Terminato il pasto, lo scoiattolo individuò l’albero giusto e, con passetti svelti e ravvicinati, fu in cima in meno di un secondo.
“Che simpatico questo piccolo animaletto. Sembra in preda ad una strana follia”.
“Follia…”.
«Follia!» urlò e corse via scontrandosi con alcune donne che confabulavano serenamente.
«Screanzato!».

«Matteo! L’ho trovata!».
«Cosa?».
«La sonata! L’ho trovata!» esclamò e si gettò con foga sui fogli riempendoli in pochissimo tempo.
Fornari l’osservò compiaciuto e in silenzio. Il suo amico era in trance, come accadeva di sovente quando giungeva l’intuizione giusta.
Sudato e sfinito, dopo alcune ore, Corelli gridò: «Eccola, Sonata XII in re minore, “Follia”!».

(pubblicato nell’antologia “Sette son le note” – Alcheringa Edizioni, 2018)

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