Il salvatore

«E così ormai la fine è prossima, vero?».
«Si».
«E l’impatto sarà tremendo?».
«Si».
«C’è possibilità che qualcuno si salvi?».
«Dubito».
La minuscola sala da pranzo della piccola abitazione posta al terzo piano del palazzo popolare era occupato da sole due figure. Lui, l’uomo che poneva le domande, era un anziano che da alcune primavere aveva superato gli ottant’anni. Fisico asciutto, curvo, pochi capelli bianchi sulla calotta cranica, occhi dolci e stanchi, di quelli che avevano visto fin troppe brutture nella vita ma erano fieri di averla vissuta e combattuta. L’altro, l’uomo che dava risposte, era alto, robusto, sulla cinquantina, abito scuro e sguardo superbo, da anni guida del grigio quartiere.
«Ma lei perché lo fa?».
«Per salvarti e non farti soffrire».
«Perché, si soffrirà tanto?».
«Stiamo già soffrendo. L’aria calda sta diventando irrespirabile e la pelle inizia a bruciare. La gente è impazzita e ha smarrito la fede. Sarà sempre peggio nei pochi giorni che restano».
«Ma lei perché lo fa?».
«Te l’ho già detto, per salvarti e non farti soffrire».
«Però lei soffre».
«Si, ma la fine è prossima anche per me».
«Davvero non farà male?» chiese osservando l’oggetto metallico che l’uomo in nero aveva tra le mani, una pistola.
«Si, sarà così rapido che non sentirai nulla».
«Va bene, padre. Mi fido di lei».
«Non fidarti di me, affidati a Dio».
L’anziano fissò dritto negli occhi il prete e una lacrima sfuggì dal suo occhio destro.
«Pronto?».
«Si».
«Inginocchiati».
L’uomo afferrò un braccio del salvatore e lentamente fletté le sue gambe. Lui gli piegò dolcemente la testa verso il basso.
«In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Dio ti affido l’anima di questo tuo figlio» recitò facendo il segno della croce a pochi centimetri dal viso dell’uomo. Poi si spostò di 90°.
Il colpo fu secco e preciso. Il proiettile entrò dalla tempia destra per fuoruscire dalla sinistra. L’uomo cadde a terra privo di vita mentre un rivolo rubino inondava il pavimento.
L’uomo si segnò nuovamente, poi pose la pistola nella borsa di cuoio marrone che lo accompagnava e lasciò l’abitazione.

Quattro giorni prima tutte le televisioni e i giornali avevano dato la notizia: un meteorite avrebbe colpito la Terra nel giro di una settimana. I potenti della pianeta avevano temporeggiato sino all’ultimo nel dare la notizia nella speranza di trovare una soluzione per tempo. La soluzione non fu trovata.
Padre Angelini quella sera era in casa, in procinto di cenare. Udita la ferale notizia spense la TV e si diresse in chiesa. Pregò tutta la notte e i due giorni successivi, senza toccare cibo. Poi, la terza mattina seguente la notizia, la rivelazione. Lasciò il suo posto di preghiera, suonò con tutta forza le campane della chiesa del quartiere popolare e chiamò a raccolta i suoi fedeli.
La messa fu breve, i tanti abitanti accorsi nella speranza di una via di salvezza ascoltarono Padre Angelini in un silenzio surreale.
«Io vi salverò». Con queste parole concluse la sua celebrazione.

Due ore dopo era a casa del secondo Don del quartiere: Don Pino, il boss. Credente e praticante, la domenica sempre seduto nel primo banco con sua moglie Agata, Don Pino Balsamo era l’alter ego di padre Angelucci: se il secondo era la guida “spirituale” del quartiere, il primo era la guida “temporale”. Un boss, appunto.
Padre Angelucci aveva scelto lui come primo fedele meritevole di salvezza per un solo motivo: era in possesso degli strumenti di salvezza.

«Sei pronto?».
«Si, padre. Solo una domanda: perché ha scelto me per iniziare la sua missione? Io ho capito cosa ha intenzione di fare e sono d’accordo con lei. Meglio raggiungere subito nostro Signore e non finire i nostri giorni agonizzando» disse la robusta figura dal folto capello grigio, viso curato che non mostrava i suoi quasi settant’anni, vestito scuro impeccabile e occhiali dalla montatura in oro.
«Sapevo avresti compreso».
«Non ha risposto alla mia domanda».
«Ho scelto te perché hai la chiave».
«Ho la chiave?».
«Si, la pistola. Dammela, con tutti i proiettili che hai».
«Capisco».
Don Pino si allontanò per pochi secondi, poi tornò con la sua calibro 38 e la porse, insieme a due scatole di munizioni, a padre Angelucci.
«Tua moglie è pronta?» chiese dopo aver afferrato gli oggetti.
«Si, è di là».
«Va bene. Credo sia meglio iniziare da lei. Tu reggerai meglio il peso di questa breve attesa che ti separa dal regno dei cieli e dal rincontrare Agata».
Pochi minuti dopo padre Angelucci usciva da casa Balsamo per proseguire la sua opera salvifica.

Trascorse i pochi giorni rimasti visitando senza sosta tutti gli abitanti del quartiere che ancora resistevano nelle loro case, preceduto da un continuo passaparola al moltiplicarsi delle deflagrazioni. In molti, però, erano già fuggiti senza meta, altri non avevano compreso le parole di padre Angelucci e rifiutato la sua soluzione.
Ormai mancavano poche ore all’ultima alba della Terra. Quasi privo delle forze e con evidenti bruciature sul volto dovute all’approssimarsi del meteorite, il sacerdote raggiunse l’ultima abitazione. Ad accoglierlo un ragazzo di quindici anni, Arturo Interlaghi.
«Ciao, sei solo in casa?».
«Si, i miei genitori sono fuggiti l’altro ieri dimenticandosi di me».
«Mi spiace».
«Quanti ne hai ammazzati?» chiese diretto il ragazzo dal capello biondo e il fisico esile.
«Io non ammazzo, io salvo».
«E quanti ne hai salvati?».
«Non li ho contati. Spero tanti, spero».
«Ma ha senso finire così?».
«Non lo so. So solo che domani saremo tutti tra le braccia di Dio. Forse» e aggiunse quel “forse” dubitando della effettiva valenza della sua opera e, soprattutto, dell’esistenza di un Dio.
Il ragazzo colse l’amarezza delle sue parole e chiese: «E allora perché l’hai fatto?».
«Credo sia stata una sua volontà o, almeno, mi sono convinto di questo».
«Va bene. Io comunque sono pronto».
«Non sei obbligato».
«E che senso ha aspettare domani? Forse morirò soffocato, bruciato o colpito dal meteorite. Tanto vale affidarmi a te e sperare in quello che dice la Bibbia».
Padre Angelucci carezzò la guancia del ragazzo, poi disse: «Inginocchiati».
Prima di procedere con il rito notò che il giovane non tremava, forse l’unico in quei giorni a mantenere la calma.
Poi sparò.

E giunse il settimo giorno. Padre Angelucci, ormai stremato, dopo aver tentato inutilmente di riposare qualche ora, raggiunse la chiesa, davanti a sé il crocifisso ligneo con la figura del Cristo che lo fissava.
«Padre, spero di aver fatto la tua volontà. Accogli tutti i tuoi figli e, se meritevole, accogli anche me» disse con voce tremolante. Poi non riuscì ad aggiungere altro. Si guardò intorno, osservò meglio la casa del Signore.
“C’è un senso a tutto ciò?” pensò. Poi uscì.
Si fermò nel piazzale antistante l’edificio di culto e osservò il cielo. La sfera di fuoco ormai era pronta ad entrare nell’atmosfera terrestre per distruggere quanto di buono (e cattivo) la natura, l’uomo e, forse, Dio, avevano creato.
«Padre, sono pronto».

(pubblicato nell’antologia “Abbiamo una settimana di tempo” – Montegrappa Edizioni, 2018)

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