Ora o mai più

«Ora o mai più».
«Cosa vai blaterando?».
«Ti ricordi quando ti dicevo che volevo diventare famoso?».
«Embè?».
«Se non ora, quando?».
Fu quella notizia, “Un meteorite sta per colpire la Terra. L’umanità è destinata all’estinzione”, una soluzione per evitare l’impatto non fu mai trovata, a far riaffiorare dal fondo del cassetto il sogno nero di Marzio Mazzoldi. Per anni aveva desiderato un gesto eclatante, quel gesto, per dare una svolta alla sua vita: diventare il nuovo divo dei rotocalchi di cronaca nera. Poi esigenze più terrene l’avevano distolto dal malsano proposito.
L’unica altra persona a conoscenza di quel pensiero, senza condividerlo, era Virginio Salice, amico d’infanzia.
«Cosa servirà?» chiese Marzio.
«Per fare cosa?».
«Per coronare il mio sogno».
«Piantala. Ci resta meno di una settimana di vita e tu pensi a questa assurdità?» disse Virginio scuotendo come sempre la testa.
«Non lo faccio solo per me ma anche per te. Lo faccio per tutti. Vi darò altro a cui pensare prima della fine».
E così dicendo lasciò l’amico nel silenzio della sua abitazione. A passo lento superò le due rampe di scale mentre dei suoni, attutiti dal vecchio portone in legno, cercavano di farsi strada tra gli spessi muri del palazzo storico.
Varcata la soglia fu investito da urla, rumori di vetri fracassati, spari. La città, condividendo il suo destino con un numero indefinito di altre sue simili, trascorreva nel caos gli ultimi giorni di vita.
Tracce di devastazione, furti continui nei negozi, canto costante delle sirene dall’allarme, cadaveri. Un’apocalisse cui le forze dell’ordine avevano deciso di non partecipare.
Guardingo, Marzio accelerò la sua camminata, del resto casa sua era poco distante.
Raggiunto il suo palazzo, estrasse rapidamente le chiavi dalla tasca e, prima di inserire quella giusta nella serratura, il suo occhio cadde su quel furgone portavalori che da alcuni giorni stazionava nei pressi della banca che affiancava la sua dimora.
Portellone aperto e contenuto sparito, il mezzo mostrava ancora evidenti le tracce dell’agguato: i colpi di arma da fuoco sulla fiancata destra e uno dei due agenti senza vita riverso sul suolo, circondato da un’ampia chiazza di sangue ormai solidificato.
S’avvicinò, quasi spinto da un improvviso gesto di pietà verso quell’uomo. Lo osservò dalla testa ai piedi. Il suo sguardo, d’un tratto, fu catturato magneticamente da quel particolare: nella fondina nera appesa alla cintura vi era ancora la pistola.
“Ecco, il destino ha deciso. Devo farlo”.
Si chinò e, con una strana e rispettosa cautela, estrasse l’arma e rientrò a casa.

«Guarda cosa mi ha donato il fato?» disse sorridente Marzio mostrando la pistola all’amico.
«Tu sei pazzo. Smettila».
La mattina seguente, Virginio aveva raggiunto l’amico a casa sua. Da alcuni giorni condividevano, oltre alla solita solitudine, anche quanto restava delle rispettive dispense.
«Ho trovato del petto di tacchino e un barattolo di spinaci nel freezer. Come li prepariamo?» chiese Virginio per spostare la concentrazione di Marzio su un tema differente.
Quest’ultimo non rispose. I suoi occhi erano fissi sull’arma che stringeva tra le mani.
«Allora? Come li prepariamo?».
«Chissà se la mia mira è quella di un tempo» disse riferendosi agli anni trascorsi nel vecchio paese e alle domeniche di caccia con suo zio.
«Che vuoi fare?» chiese allarmato Virginio.
«Una prova».
«Non fare lo scemo».
Marzio allora si spostò verso la finestra che dava sulla strada principale, l’aprì e osservò l’esterno.
«Eccolo» disse indicando con un cenno del capo il segnale stradale ottagonale posto all’incrocio, la distanza era di circa ottanta metri.
«Chi?».
«Il bersaglio».
«Smettila Marzio. Mi fai paura».
«Non temere, è solo una sottile lastra di metallo. Non sentirà dolore».
Virginio, bianco in volto, lo vide prendere la mira. Pochi attimi e due colpi in rapida successione.
«Lo sapevo!» esultò mentre mirava compiaciuto i due fori che si aprivano all’interno della “O” di “STOP”.
«Ora basta!» esclamò l’amico e lo tirò via per un braccio.
«Sì, mi basta questa prova».
«Invece di pensare a questa idiozia, prega per la tua anima».
«Prego? Chi? Un dio che sta per estinguere la sua creatura più cara?».

Mancavano ormai poco più di due giorni al devastante impatto e Marzio era impaziente. Era determinato e aveva l’arma. L’unico problema era raggiungere l’obiettivo ma un nuovo segno del destino, quello definitivo, non tardò a palesarsi. Pochissimi erano ormai i canali televisivi ancora in onda, alcune TV private e solo una delle reti nazionali, e fu una delle prime a dare la notizia, l’indomani sarebbe apparso per l’ultima volta per dare il suo messaggio di conforto prima della fine.

Aveva dormito un sonno profondo, doveva arrivare riposato e lucido all’appuntamento. Fece la solita colazione con caffellatte e biscotti, poi si preparò con cura, prese la pistola ed uscì.
In strada una quiete irreale aveva preso il posto del delirio dei giorni precedenti. Molte persone, a testa bassa, camminavano diretti verso la stessa meta. Marzio s’inserì nel flusso umano e si lasciò trasportare.
La piazza era stracolma e i due bracci curvi colonnati, quell’abbraccio di marmo realizzato nel ‘600, erano prossimi all’esplosione. Nessun controllo di sicurezza, non c’era più da difendere l’incolumità di chicchessia, il nemico veniva dall’alto ed era imbattibile.
Marzio, con fatica, iniziò a farsi largo tra la gente che urlava, piangeva, pregava. Dopo oltre quindici minuti trascorsi a sgomitare, riuscì a superare l’obelisco che ornava il centro dell’immenso spiazzo. Si fermò a metà del segmento colonnato rettilineo che si apriva dinnanzi alla maestosa facciata dell’imponente luogo di culto. Misurò con lo sguardo la distanza che lo separava dal punto in cui l’obiettivo di lì a poco si sarebbe rivelato e decise che era più che sufficiente. Attese.
Un fugace movimento dell’ampio tendaggio che divideva i due mondi fece sussultare la folla. Poi la pesante stoffa venne scostata e l’uomo di Dio, nel suo abituale abito candido, apparve. Fu accolto da un boato. Un gesto rapido di benedizione, poi si avvicinò al microfono e lo regolò. Era solo su quel balcone.
«Fratelli carissimi e sorelle carissime. Figli miei, figli di Dio» esordì con voce calma.
«Siamo tutti chiamati ad affrontare una grande prova e se è questo ciò che il nostro Signore ha deciso per noi, allora dobbiamo accogliere quanto avverrà serenamente. Le porte del paradiso stanno per schiudersi, gli angeli ci attendono festanti. Non temete il dolore, non fatevi sopraffare dalla paura. Dio è al vostro fianco e se avete peccato vi accoglierà allo stesso modo del figlio più degno. Dio è buono, Dio è grande».
Marzio lo ascoltò senza coinvolgimento, mentre la sua mano destra era ferma sul gelido corpo metallico che nascondeva nella tasca.
“Ora o mai più” pensò improvvisamente.
Solo allora si guardò intorno e si accorse di essere solo. Centinaia di migliaia di occhi fissavano inermi quel punto bianco che parlava di dono del Signore, di paradiso, di un’oasi di pace che li avrebbe accolti molto presto. Estrasse dalla tasca la pistola e l’alzò in direzione dell’obiettivo. Chiuse l’occhio superfluo, prese la mira e sparò.
La testa del papa si reclinò di scatto all’indietro mentre lo zucchetto volava via e uno zampillo di sangue prendeva vita con forza inondando il pavimento.
Un silenzio irreale s’impadronì della folla. Ognuno cercò negli occhi del vicino una risposta a quanto accaduto. Poi, d’un tratto, quasi spinti da una forza superiore, le persone si voltarono e, lentamente, iniziarono ad abbandonare la piazza.
«Eccomi! Sono stato io! Sono il vostro nuovo dio!» urlò mentre una serie infinita di automi gli passava accanto senza badare a lui.
«Mi avete sentito? Ho ammazzato io il vostro papa!».
Niente. Le sue parole non suscitarono nessuna reazione.
Allora Marzio afferrò per le spalle un uomo, lo scosse violentemente e gli urlò in faccia: «Ho ammazzato il tuo papa!».
L’uomo non si scompose, attese che Marzio sfogasse il suo vaneggiamento e poi placidamente disse: «Ti aspetto alle porte del paradiso. Dio ti ha già perdonato» e riprese il silenzioso cammino.

(pubblicato nell’antologia “Abbiamo una settimana di tempo – II edizione” – Montegrappa Edizioni, 2019)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *