MatrimoNoir

«Amore, hai ritirato il vestito? Ti ricordo che mancano solo due giorni al nostro matrimonio».
«Certo, tesoro. Sono rientrato poco fa. Arturo ha fatto un lavoro fantastico».
«Perfetto! Ora cosa manca?».
«Nulla. Solo io e te sull’altare» rispose tenero Enzo Nalli.
L’uomo, trentotto anni, viso curato dai lineamenti lievemente spigolosi, fisico statuario e carnagione brunastra, fissò negli occhi la sua lei, Teresa Mazzocchetti, e la baciò con passione.
«Sono felice» disse poi candidamente, con un luccichio negli occhi, Teresa, trentadue anni, figura esile, volto delicato, iride ceruleo e capelli biondo paglia a caschetto.
Lui la cinse a sé.
«Se qui a casa non c’è nulla da fare, credo che farò un salto dai miei, così aiuto mamma con gli ultimi preparativi per il rinfresco prematrimoniale» aggiunse appena liberatasi dal lungo, dolce, abbraccio.
«Che strana usanza quella di invitare i parenti a casa prima della cerimonia».
«Eh, ci tocca!» esclamò sorridente lei.
«Per fortuna da me queste cose non esistono».
«Solo perché siete freddi!» e così dicendo si strofinò rapidamente le braccia con le mani.
Lui la osservò divertito.
L’aveva letteralmente raccolta dal fondo di un bicchiere, una serie di bicchieri, e dal pavimento in gres porcellanato grigio tortora del Pub Excalibur, una sera d’inverno di circa sette anni prima. Quell’anno il carrozzone della Snim, multinazionale dell’energie rinnovabili, circa duecento uomini tra operai, tecnici e ingegneri, approdava a Biccari, piccolo borgo incastonato tra le colline della Daunia, per la realizzazione di nuove infrastrutture. Tra loro il geometra Enzo Nalli, nato a Pavia.
Circa un mese per ambientarsi, qualche conoscenza autoctona, poi quel sabato sera, era passata da poco la mezzanotte, Enzo era entrato in compagnia di due colleghi nel Pub Excalibur. Seduta al tavolo accanto, una ragazza sola dal fisico esile, volto delicato, iride ceruleo e capelli biondo paglia a caschetto. Teresa. Davanti a lei tre bicchieri di birra, vuoti, e circa una decina di bicchierini da shot, vuoti. Lui la scrutò senza interesse. L’una e trenta, Enzo sentì un rumore di sgabello strisciato pesantemente, si voltò e notò la ragazza che a fatica cercava di alzarsi. Pochi attimi, un consistente barcollio, poi la caduta rovinosa. Lui la raccolse. Tre anni dopo iniziava la convivenza in un piccolo appartamento poco distante dal centro del paese. Circa sette anni dopo il matrimonio.
«Vabbè, io vado. Ci vediamo più tardi amore».
«Sì, tesoro. Non fare tardi».

«Ciao Teresa».
La voce la fulminò alle spalle. Erano passati quasi sette anni dall’ultima volta in cui si erano visti ma quei suoni erano fin troppo familiari, lo erano stati per quasi due lustri. Eros, Eros Capocci.
Tentò di non voltarsi, cercò in ogni anfratto del suo corpo la forza di proseguire dritta verso casa, ma il magnete Eros l’attrasse a sé.
«Cosa vuoi?» chiese secca.
«Dopo tutti questi anni non mi saluti neanche?».
«No, per me tu non esisti più».
Lo fissò, rabbiosa. Lui ricambiò con un sorriso beffardo, il solito. Anche dopo quasi sette anni, nonostante il viso scavato, segnato, le forti occhiaie, la barba incolta, i denti ingialliti dalle cattive abitudini, un’immagine che si discostava fin troppo dall’affascinante Eros amato per dieci anni, quel sorriso era lì, intatto.
«Sono cambiato».
«Non mi frega più un cazzo di te! Vuoi capirlo o no?» urlò Teresa.
«Dammi solo un minuto, lasciami spiegare».
«Vattene!».
Fu lei, però, ad andare via. Lui continuò a osservarla mentre a passo svelto e deciso si allontanava.

«E così ti sposi?».
Era quasi buio quando Teresa uscì da casa dei suoi. Il caldo afoso dell’agosto biccarese stava concedendo un minimo di tregua. In un primo momento non riuscì ad individuare la provenienza della voce. La riconobbe solamente. Eros.
Lei non rispose e s’incamminò noncurante verso casa.
«Non farlo o la mia vita non avrà più senso».
«Ed è giusto così! Sei scomparso nel nulla senza una ragione e ora ricompari dopo sette anni e vuoi riparare tutto? Per me sei morto! Morto!» esplose violenta.
Quasi dieci anni di fidanzamento, sereni. Solo nell’ultimo anno qualcosa in lui era cambiata, era diventato scontroso, sempre impegnato, usciva poco con lei e in quelle poche volte, però, la ricopriva di regali, troppo dispendiosi per un semplice operaio metalmeccanico. Provenienza del denaro? “Lavoretti extra” rispondeva lui. Poi, quel ventidue settembre di sette anni fa Eros scomparve. Teresa si spense lentamente, soffrì per quell’assordante assenza di notizie sul suo uomo, finché non giunse quella voce: Eros doveva morire. Perché? Nell’ultimo periodo era entrato in uno strano giro di contrabbando d’armi ed esplosivi diventato ben presto troppo grande anche per lui. Teresa venne a conoscenza di tutto e affogò i suoi dispiaceri nell’alcool. Poi nella sua vita entrò Enzo. Ed ora Eros era “risorto”.

«Che hai? Ti vedo strana?» chiese Enzo appena in casa apparve Teresa.
«Niente, solo un po’ di stanchezza».
«Lavori forzati, eh? Immagino la mole di cibo che tua madre sta preparando per la figlia preferita!».
Teresa abbozzò un sorriso, poi andò in bagno. E pianse.

«Amore, io vado dai miei. Questa notte, come tradizione vuole, dormirò da loro. Ci rivedremo domani in chiesa e poi resteremo insieme per sempre».
Il giorno seguente, erano da poco passate le diciotto, la coppia metteva fine alla propria esistenza da fidanzati per iniziare, di lì a breve, una nuova era, da marito e moglie.
«Per fortuna i tuoi in questi anni hanno preso bene la nostra convivenza! Se no avrei dovuto attendere un’eternità prima di condividere con te ogni attimo della mia vita!».
«O avresti potuto chiedermi prima di sposarti».
Enzo incassò divertito.
Teresa prese la borsa, vi inserì le chiavi e il cellulare all’interno e si avviò verso la porta. Poi si bloccò.
Tornò in cucina e scostò la tendina della finestra che dava sulla strada. Due piani più giù riconobbe la figura di Eros addossata ad un’auto in sosta.
“Ma che diavolo vuole ancora?” e sbatté un pugno sul tavolo.
«Ma sei ancora qui?» chiese Enzo udendo il rumore proveniente dalla cucina.
«Sì, amore. Avevo lasciato il telefonino in cucina» mentì. Poi uscì.

«Non farlo».
Eros attese che Teresa uscisse dal portone della palazzina a tre piani e le si avvicinò.
«Vattene!».
«Non farlo, ti prego».
«Cosa vuoi ancora da me?».
«Voglio te. Sarai mia o di nessun altro».
Teresa s’arrestò per un lungo attimo e lo guardò negli occhi. Per un istante l’Eros che aveva di fronte diventò l’Eros che aveva amato per quasi dieci anni. Per un istante. Poi tornò ad essere l’Eros “morto” degli ultimi sette.
Non disse nulla e s’incamminò verso casa dei genitori mentre uno strano brivido le attraversò la schiena.

«Evviva la sposa!».
Ore dieci e trenta, nel piccolo spiazzo antistante casa Mazzocchetti un nutrito assembramento di abiti “da festa” e tacchi dodici accoglieva la sorridente Teresa che, accompagnata da suo padre, in un vestito candido dall’imponente strascico, compiva il passo decisivo verso una nuova fase della vita.
«Siete pronti?» chiese ai presenti, mentre alla spicciolata altri invitati uscivano da casa sua, alcuni in mano custodivano gelosi rustici, dolcetti e bicchieri di spumante.
Un cenno d’intesa con suo padre e la coppia diede il via al corteo. La chiesa di San Quirico distava meno di dieci minuti a piedi da casa. Qui, ad attenderla, avrebbe trovato Enzo.
Aveva percorso poco più di duecento metri quando lo vide, appoggiato alla parete di un’abitazione. Eros. Lui la guardò nascosto da un paio di occhiali da sole, poi scosse la testa. Lei abbassò gli occhi e proseguì verso la meta.

«Arriva! Arriva!» urlò un bambino di sei anni nel suo completino biancoazzurro vedendo giungere Teresa nei pressi della chiesa.
A pochi metri dall’ingresso, lei si fermò, guardò negli occhi suo padre che, teneramente, con un cenno del capo, le disse “Entriamo, è il tuo momento”.
Varcata la soglia dell’edificio sacro, l’organo diede il via al suo canto inondando di suoni l’unica navata della piccola chiesa. Enzo si voltò e la vide, incantevole. Pochi lunghissimi secondi e papà Renato consegnava la sua bambina all’uomo del nord. Poi Don Urbano diede il via alla cerimonia.
«Vuoi tu Enzo prendere come tua legittima sposa la qui presente Teresa, per amarla, onorarla e rispettarla, in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà finché morte non vi separi?».
«Sì, lo voglio».
«E vuoi tu Teresa prendere come tuo legittimo sposo il qui presente Enzo, per amarlo, onorarlo e rispettarlo, in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà finché morte non vi separi?».
Prima che Teresa potesse proferire il suo “Sì, lo voglio”, un suono di passi, lento, amplificato dalla struttura del luogo di culto, si intromise nella cerimonia. Gli invitati si voltarono verso il corridoio centrale formato dalle due file di banchi scorgendo una figura maschile, familiare per molti dei parenti della sposa. Eros Capocci.
Si voltò anche Enzo per cercare la fonte del rumore. Infine, si voltò anche Teresa.
Enzo guardò Teresa cercando nei suoi occhi una risposta a quella situazione, poi glielo chiese apertamente: «Chi è?».
Lei non rispose.
L’uomo era ormai a pochi metri dalla coppia. Pochi centimetri.
«Hai già detto “sì”?» le chiese con voce ferma.
«Vattene, Eros» Teresa cercò di restare calma, nonostante la circostanza.
«Hai già detto “sì”?» domandò nuovamente.
«Vattene!» urlò.
Il brusio che era nato quasi naturalmente tra i banchi cessò di colpo. Enzo, pietrificato dalla violenta reazione di Teresa, provò a chiedere una spiegazione ma le parole restarono bloccate in gola.
All’improvviso, nel surreale silenzio della chiesa, s’intromise un flebile rumore, rapido, costante.
«Cos’è questo ticchettio?» chiese Teresa scostando per un attimo i suoi pensieri dalla presenza di Eros.
«È il mio cuore che batte per te» rispose serio l’uomo.
«Non dire idiozie! Cos’è?» urlò.
Lui sorrise beffardo, come sempre, poi la baciò.
«Sì, lo voglio» disse poi Eros fissandola negli occhi.
Teresa lo spinse via con tutta la forza che aveva. Lui estrasse un piccolo telecomando dalla tasca, le disse «Ti porto via con me» e poi cliccò l’unico tasto.
Una forte deflagrazione invase la piccola chiesa di San Quirico squarciando il candido vestito di Teresa e il suo contenuto.
Teresa sarebbe stata sua per sempre.

(pubblicato nell’antologia “Lo scheletro nell’armadio – II edizione” – Montegrappa Edizioni, 2019)

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